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L’autunno è una stagione considerata perlopiù triste e malinconica con caratteristiche sue proprie. Sono giorni questi in cui la natura va preparandosi al gelido inverno determinando un periodo di transizione e trasformazione che si trasmette anche all’uomo. Mentre ci troviamo accovacciati davanti al camino, magari arrostendo castagne e ascoltando o raccontando Contos de foghile, la temperatura esterna subisce un abbassamento sensibile e progressivo, si verifica una riduzione delle ore di luce, cambiano i cicli sonno-veglia e ci si sente più frequentemente stanchi e demotivati. La pelle risulta spenta e opaca ed il nostro organismo diventa in queste condizioni terreno fertile per una serie di malanni tanto che, anche in seguito ad un banale raffreddore, può essere maggiormente esposto a stimoli stressanti (allergie e malattie da raffreddamento, astenie psico-fisiche, agenti infettivi) cui può reagire meglio se si è in una condizione di equilibrio organico e si effettua una giusta prevenzione.
“Abba et bentu, annada de sarmentu (Acqua e vento, annata di sermento, cioè abbondanza d’uva) Annada de binu, annada de pagu tinu (Annata di vino, annata di poco giudizio) ”.
Quando inizia l’autunno inevitabilmente non si può non apprezzare la vite, una pianta dai frutti corposi e multiformi che occupa piacevolmente le nostre tavole e ci allieta tra feste e canti durante le vendemmie, divenendo in questo modo una delle più rappresentative della stagione.
“Ci si sveglia un mattino che è morta l’estate/e negli occhi tumultuano ancora splendori…E’ mutato il colore del mondo.” Così scriveva Cesare Pavese nel lontano ottobre del 1935 durante la sua permanenza a Brancaleone Calabro. In quel caso il poeta si affacciava all’autunno ma, con un mese d’anticipo, questo piccolo passaggio della raccolta di poesie “Lavorare stanca” non può che risultare attuale, reduci da un’estate variabile dal punto di vista climatico, tra l’alternarsi del sole e giornate rattristate dal maltempo.