Candida Mara è realmente esistita.
Meglio partire da qui, mettendo da parte tutti gli elementi che ne farebbero una figura leggendaria, frutto dell’immaginazione e dell’eccesso di bicchieri, di polvere lungo un viaggio lungo e sfinente e una ancor più lunga giornata di festa. Perché sì, è più facile di quanto sembri scambiarla per una figura fantastica, un nome passato di bocca in bocca per un po’ per poi lasciare ogni connotazione reale e assumere i tratti di leggenda.
Eppure, di questa donna dal fortissimo carisma e dall’ancor più forte talento nel canto è rimasto poco o niente. Non una lapide, non una registrazione, non una foto o un dipinto, un diario o una raccolta di lettere. Ma ci sono gli articoli di giornale, le poesie che altri le hanno dedicato e quelle che invece altri hanno trascritto, in frammenti, rimanendo rapiti dalla sua voce.
Questa storia, dunque, è una non storia. La ricerca di un fantasma, leggiamo più e più volte. Un fantasma che a lungo ha cercato di resistere alla damnatio memoriae. L’ha fatto grazie ai ricordi, per un po’, fin quanto, almeno, non sono diventati pericolosi. E, per questo, irresistibili.
Questa storia è, anche, una storia di famiglia. E un desiderio: ridare la voce a chi, quella voce la fece sentire in una Sardegna di polvere e poesia, dove vedere una donna cantare alle gare di improvvisazione era un miraggio. O forse una maledizione.
Se oggi possiamo ripercorrere alcune tappe della vita di Candida Mara, nota ai tempi come La Cantadora, è grazie a un suo erede, lo scrittore Vanni Lai (due volte finalista al Premio Calvino) che ha deciso di dedicarle il suo romanzo d’esordio, La Cantadora, uscito con Minimum Fax nel 2023. Così, per le vie del destino, della scrittura e della memoria, il calesse di Candida Mara ha ripreso a girare per la Sardegna, a intrecciare nuovamente ricordi, versi, melodie.
Candida Mara, nata a Nulvi il 17 maggio 1877 in una famiglia di artigiani, aveva il dono della poesia e dell’improvvisazione, anche alimentato dal padre che la portava in giro per feste.
La sua vita non fu mai facile: il primo marito si dice morto per una maledizione. Il secondo Antonio Giuseppe Sechi, fu travolto dallo scandalo: ne fu letteralmente folgorato durante un'esibizione a Padria, lasciando per lei la sua famiglia, sostenendola nel canto e affiancandola nella gestione dei cavalli da corsa.
L’immagine di questa donna dell’arte è potentissima:
«La si descriveva come alta e longilinea, dai lineamenti sottili, il mento a punta e un neo su una guancia; vestiva di nero con una giacchetta, una gonna plissettata col grembiule di broccato e stivaletti neri anche loro, dalla punta di vernice. Rimasta vedova, si spostava armata di pistola per cantare nelle prime gare a chitarra dell’isola, unica donna tra gli uomini».
Il suo arrivo in scena era un rito irresistibile e ipnotico. Ogni suo verso e movimento ricalcava un suo mondo interiore unico e mai visto fino a quel momento. E, così com’era arrivata, avvolta dalla polvere e dal mistero, andava via.
Ecco, la polvere. Perché uno degli aspetti più interessanti del romanzo è la sua presenza, in antitesi all’assenza tra i margini della storia della sua protagonista. Polvere nelle strade della Sardegna dei primi del Novecento, e polvere, soprattutto, tra gli archivi in cui l’autore ha trascorso dieci anni di lavoro, alternando la ricerca a interviste agli anziani e a chi, a fatica e con poche parole, cercava di allontanare ancora l’ombra di quello che appariva come uno sgradito fantasma. Ecco, allora, da articoli di giornale, testimonianze, archivi, documenti dimenticati e abbandonati, riemergere l’esistenza, reale, di una donna di cui sopravvivono versi meravigliosi e profondi, memorie sospese, ma non una registrazione. Quando vi fu l’occasione di registrare un disco, a Roma, fu proprio lei a decidere di far sfumare l’accordo, lasciando che la nave lasciasse la Sardegna con altri cantadores, ma non con lei.
Chissà se, in cuor suo, questa donna con una voce che le dava “una strana personalità di fattucchiera e di dea", come scrisse il musicologo tempiese Gavino Gabriel, desiderasse di alimentare la sua leggenda, di legarla a quella di un oggetto dal sapore mitico, un grammofono d’oro che la accompagnava ovunque andasse e che, a un certo punto della storia, sparisce, lasciando il mistero.
Candida Mara muore il 21 settembre del 1927.
Rinasce nel 2023 grazie alla scrittura di Lai tra le pagine e i ricordi, cercando, ancora una volta, di sfidare le convenzioni, la damnatio memoriae, di superare preconcetti e ammaliare, oggi come nella Sardegna dei primi del Novecento, e ridendo di un destino che più volte ha cercato di cancellarla e altrettante di riportarla alla memoria.
«Su tutti ha regnato, con la fama che riempito l'isola, una donna di Nulvi, Candida Mara: vulcano di passioni che ha sconvolto cuori e famiglie, traendo dal suo canto fascinoso un potere di dominio che piegava ogni volontà. Anche la sua vita è un can-to, come le modulazioni melismiche assolutamente intrascrivi-bili e che tra sonnolenze di mezze voci velate e scoppi metallici d'incredibile potenza davano al suo "modo" una strana personalità di fattucchiera e di dea».
Gavino Gabriel, Canti di Sardegna, Italica Ars, 1923