C’è, nel sud della Sardegna, una casa con una vista su un giardino, un computer, una tazza di tè. E c’è uno schermo che diventa una finestra sul mondo, con tasti che costruiscono storie, vite ed intrecci al femminile, arrivando, veloci, in tutti i luoghi citati su quelle pagine, superandoli e raggiungendone altri ancora. E tutto accade lì, nel silenzio austero della campagna dorata di Decimomannu, interrotto dal ronzio operoso delle api che accompagna uno sguardo che non smette di cercare e raccontare la bellezza anche nelle cose comuni.

Lo sguardo è quello di Cristina Caboni, scrittrice e apicoltrice, autrice del best seller "Il sentiero dei profumi" e del suo seguito, "Il profumo sa chi sei", de "La custode del miele e delle api", "Il giardino dei fiori segreti" – Premio Selezione Bancarella 2017 –, "La rilegatrice di storie perdute" e "La stanza della tessitrice", romanzi con traduzioni in mezzo mondo e una meritata collezione di premi.

Filo conduttore dell’importante produzione letteraria è la presenza di storie di donne dalla forte determinazione che vivono viaggi personali profondi e complessi che le portano a scoprire nuove cose di sé e del mondo, talvolta, stravolgendolo. Le donne di Cristina Caboni si muovono in scenari fortemente sensoriali: vista, tatto, olfatto e gusto vengono costantemente sollecitati e accompagnano chi legge in un viaggio narrativo fortemente esperienziale.

La Sardegna, anche quando non presente, lo è nelle sue suggestioni: “Attingo sempre alla memoria famigliare – spiega l’autrice -, ripensando a cose che ho visto e che mi hanno raccontato e che, col tempo, sono diventate parte di me”.

Di certo, nelle protagoniste dei suoi romanzi è presente un momento che ha caratterizzato la Cristina Caboni romanziera: il momento della scelta quello che, lei per prima, ha fatto nel 2007, decidendo di dedicarsi alle api e alla scrittura e che la rende, oggi, una delle più interessanti scrittrici italiane al femminile.

La incontriamo per parlare (anche) delle recenti pubblicazioni, “Il profumo sa chi sei”, che riprende la storia di Elena, protagonista de “Il sentiero dei profumi” e l'appena pubblicato “La ragazza dei colori”.

Il primo è un viaggio tra Firenze, Parigi, India, Giappone dove i sentori di gelsomino, mimosa, rosa e le essenze ci parlano di personalità, destino, azioni e guidano le protagoniste in un percorso sensoriale di consapevolezza intrecciando il passato con il presente.
Il secondo prende ispirazione da un fatto realmente accaduto, la vicenda di un gruppo di bambini ebrei accolti e salvati dalle famiglie di una piccola città emiliana, Nonantola.

Anche in questo caso a sorprendere è, tra le altre cose, la descrizione dei luoghi, così viva e dettagliata e quella ricerca di sensazioni che guidano e rivelano.

E’ proprio dalla curiosità per questi luoghi narrati, immaginati e vissuti che prende il via la nostra intervista per raccontare la Cristina Caboni scrittrice, apicoltrice e custode delle tradizioni della natura.

Buona lettura.

 

Quando e come ha scoperto la scrittura?

Ho sempre avuto il desiderio di raccontare ma sentivo che mancava qualcosa. Sono state le mie tante, tantissime letture a portarmi verso la scrittura creativa: ho scoperto che si potevano acquisire gli strumenti tecnici e così ho iniziato un percorso di studi, anche se non è stato facile ritagliare del tempo alle mie giornate così piene. Ho iniziato a scrivere dei racconti, li ho proposti e sono stati acquistati. Ecco, quando qualcuno acquista il tuo lavoro e gli attribuisce un valore economico, la questione cambia. In quel momento ho capito di aver intrapreso la strada giusta.
In seguito i racconti sono diventati romanzi brevi e poi prove importanti, con traduzioni in tutto il mondo.

Di lei ho letto un fatto che, scoprendo poi i suoi romanzi, mi ha colpita molto: non visita i luoghi che narra ma se li fa raccontare da chi c’è stato e poi li ricostruisce attraverso la scrittura. Un po’ come accade al protagonista de “La leggenda del pianista sull’oceano”.  

Ambientando i miei romanzi in paesi spesso molto lontani, non sempre riesco a visitarli. Ma questo per me non è mai stato un problema. Quando descrivo luoghi dove non sono mai stata, attingo ai racconti di chi invece ci vive. Successivamente li arricchisco con visite virtuali attraverso gli strumenti che il web oggi mette a disposizione di chiunque: Google Earth, video su YouTube, blog. Ciò che mi viene riferito crea una dimensione, diventa in seguito il mio altrove, la mia vera realtà. Mi accade ogni volta, una sensazione strana e bellissima. Tuttavia, sono molto precisa nei dettagli e nella ricerca. Ricordo ancora con orgoglio che i miei editori francesi dopo aver esaminato “Il sentiero dei profumi” mi hanno ringraziata per aver mostrato un lato della città su cui non si erano mai soffermati… non ho mai svelato che non c’ero mai stata!

 

E a proposito di luoghi, il suo ultimo romanzo, “La ragazza dei colori” si lega a doppia trama a una cittadina e un pezzo importante, per quanto poco noto, della sua storia. Nonantola, Villa Emma, la vicenda dei bambini ebrei salvati dalle famiglie locali ritornano nell’avventura di Stella, la protagonista. Che cosa ha attivato la narrazione e come ha gestito l’equilibrio tra verità storica e finzione narrativa?

Mi sono imbattuta nella vicenda dei bambini di Nonantola mentre facevo le ricerche per un romanzo che stava prendendo vita. Questa notizia bellissima mi ha travolta a tal punto da non riuscire più a lavorare sull’altra storia che ho così deciso di mettere da parte e di buttarmi a capofitto su quella che si stava delineando nella mia mente. Sono ripartita da capo, con altre ambientazioni e personaggi e la scrittura è stata veloce e travolgente, quasi un flusso di coscienza che mi ha portata a concludere il romanzo in tempi molto brevi.
Questo non significa sia stato facile, anzi. Volevo che la dignità e la forza della comunità di Nonantola non fosse defraudata; il mio desiderio era che il gesto di queste persone fosse recepito dai lettori nel modo più corretto e che la notizia non venisse pregiudicata dalle invenzioni narrative, mantenendo la corretta narrazione dell’evento storico. L’utilizzo di personaggi inventati come Stella, Letizia e Orlando e di personaggi reali (con nomi diversi, chiaramente) mi ha permesso di rispettare l’evento storico e, al contempo, la mia vena da romanziera. Questo, anche grazie alla bellezza della vicenda, così travolgente da prendermi per mano e accompagnarmi nella scrittura.   

“Il profumo sa chi sei” è il sequel del best seller “Il sentiero dei profumi” che ci ha fatto conoscere Elena, conoscitrice attenta dei profumi e delle sensazioni che questi portano con sé. Che cosa l’ha portata a riprendere la sua storia?

Erano rimaste, alla fine del libro, delle cose in sospeso e una di queste riguardava il rapporto tra Elena e sua madre. Nel corso degli anni non ho mai avuto la necessità di spiegare quello che era successo. Poi un giorno tutto è cambiato. All’improvviso ho provato delle sensazioni. Ho percepito profumi che giungevano da luoghi lontani: un deserto di dune e di sabbia e poco in alto, su una collina, un roseto di petali magenta. Questa suggestione si è arricchita di altre scene: una vasca di marmo colma di acqua dove galleggiava l’olio essenziale di rosa damascena, la classica rosa di Taif.
Quando arriva l’ispirazione di una storia, con lei arrivano sensazioni che diventano via via più forti che si trasformano in una traccia da seguire.
È stato proprio il profumo a condurmi nuovamente da Elena e da sua madre Susanna. Una figura fondamentale che nel primo romanzo, tuttavia, era mostrata solo marginalmente.
Questo, dunque, è il libro di Susanna. Dopo che madre e figlia affrontano insieme un lungo viaggio e ritornano nei luoghi del passato, le cose riprendono il loro posto. Si crea, così, un nuovo ordine.

Come per il precedente, anche questo romanzo è accompagnato da un profumo. Da dove è partita l’idea dell’abbinamento?

Ah, ma questi sono i misteri della scrittura. Non sempre le cose seguono un senso logico. Nel “Il sentiero dei profumi”, Elena realizzava dei profumi personalizzati. All’improvviso comprende di non trovare più il senso di ciò che fa. Si smarrisce. Il profumo, che è verità, la esclude, non le parla più. Allora istintivamente abbandona il suo retaggio per andare in sottrazione, per cercare quell’essenza unica che l’aiuti a ritrovare la propria anima. C’è qualcosa di estremamente elegante in ogni composizione: la donna iris, zagara, lavanda. L’idea di Elena era scoprire il nucleo di ognuna di loro.
Il primo impatto che ho avuto con questo profumo è stato sconcertante. Completamente diverso dai precedenti. Dopo qualche secondo, mentre il profumo iniziava a scaldarsi, ho sentito una sensazione travolgente, un mix di emozioni positive, tra tutte benessere e gioia.

 

I suoi sono romanzi al femminile che raccontano di donne forti, coraggiose, solide. Quali sono le donne della storia e della cultura sarda che la ispirano e perché?

Nutro una grande ammirazione per le donne sarde che sono riuscite a tirare su intere generazioni mentre i mariti erano lontani. Penso a mia nonna, decisa, autoritaria e penso a quelle famiglie numerosissime, prive di mezzi ma molto unite, che affrontavano a testa alta e con coraggio situazioni difficili. Queste donne erano come fiori d’acciaio o come diceva la nostra più grande autrice sarda Grazia Deledda, canne al vento capaci di piegarsi alle intemperie della vita senza tuttavia mai spezzarsi. E noi, in Sardegna, abbiamo avuto donne formidabili. Facevano ciò che era necessario. Il timore di non essere all’altezza non le toccava perché erano istintivamente consapevoli della propria forza. Adelasia Cocco, prima dottoressa e prima patentata della Sardegna, la visionaria artista Maria Lai, il nostro Premio Nobel Grazia Deledda che ho già citato e Chiara Vigo, che stimo tantissimo, sono i miei esempi. Ci sono poi le religiose, le insegnanti, le nonne, le maestre… donne che hanno lasciato un segno nella nostra cultura.

Proviamo ad abbinare un profumo ad ognuna di loro?

Mare ed elicriso, per Chiara Vigo.

Ginepro e Rosmarino, per Grazia Deledda.

Mirto e corbezzolo, per Adelasia Cocco.

Zagara, ambretta e finocchio selvatico, un profumo che sa di anice profondo e speziato, per Maria Lai.

E quali sono stati, Cristina, i profumi della sua infanzia?

Pane appena sfornato, profumo di zagara e buccia d’arancia. Odore di legna fresca, fuoco che arde nel camino. Tutto quello che è relativo alla natura e mi riempie di meraviglia.
Credo che la sensibilità agli odori sia importante nel mio lavoro. Essendo un’apicoltrice sono portata ad annusare il miele per conoscerne le caratteristiche organolettiche: il miele si osserva, si percepisce olfattivamente e solo dopo si assaggia.

C’è un modo per riabituarsi alla consapevolezza olfattiva?

Chiudere gli occhi, cercare un posto senza troppi rumori e lasciarsi andare. Il vento trasporta gli odori e ci permette di riconoscerli, comprenderne la vera natura, quella che va oltre l’aggettivo. Noi siamo diseducati agli odori ma loro ci parlano e sono connessi alle nostre emozioni. Il cervello limbico, quello coinvolto nel ricordo dei profumi, scatena una reazione fortissima e arcaica. L’olfatto è la manifestazione più pura e diretta di quello che percepiamo.
Per sentire l’odore bisogna essere consapevoli e mai distratti. È consigliabile, volendo approfondire, rivolgersi a mani esperte come quelle Caterina Roncati e Marika Vecchiattini, formidabili artiste dell’olfatto che creano profumi personalizzati, anche quelli dei miei romanzi, e si occupano di educazione olfattiva.

Magari, possiamo proprio partire dalla Sardegna. Proviamo, allora, a tratteggiare un percorso olfattivo della nostra isola?

Partirei da Carloforte, poi Sant’Antioco per poi risalire verso il nord con una capatina alla giara di Gesturi e senza dimenticare il Sinis. Il Gennargentu e Burgos, e più su ancora verso il monte Limbara per poi scendere in Costa Smeralda. Ancor più del percorso è importante lasciarsi trasportare dai profumi per acquistare consapevolezza di come la natura, nella nostra isola, cambi a seconda della zona, e scoprire, per esempio, che il profumo dell’elicriso è diverso da nord a sud.

Seguendo il tema dell’ultimo romanzo, come per i profumi, possiamo tracciare un percorso dell’armocromia in Sardegna?

Andiamo dal sud verso il nord: partiamo con le tonalità marine azzurro-verdi per incontrare le maestose pianure dorate estive per poi arrivare verso l’interno, con tonalità più scure che arrivano dai tronchi degli alberi. Man mano che si sale i colori dei boschi si fanno più brillanti sino ad incontrare il turchese del mare.

Un viaggio, questo, accompagnato da tre costanti: il colore dorato della campagna sarda, il verde brillante dell’erba che viene mossa dal vento, come a creare delle onde e i nuraghi che spiccano nelle loro pietre basaltiche ricoperte di licheni dorati.

Dimensione slow in Sardegna, riappropriarsi dei tempi, della natura dei suoi equilibri: quanto è importante e quanto si fa?

Quello che si sta facendo è di estrema qualità: ci sono delle esperienze molto interessanti. A Oristano c’è un’azienda, “Le erbe di Janas” che mette sul mercato erbe biologiche che vengono utilizzate dal punto di vista cosmetico e ayurvedico. Ci sono degli allevatori che stanno realizzando cosmetici e prodotti con il latte di capra, la bava di lumaca, altri che coltivano le piante essenziali ricavandone essenze e eleoliti. Il biologico sta prendendo sempre più piede. Ci sono produzioni di grande qualità. Il miele sardo è completamente diverso dagli altri: quello di eucalipto, prodotto in Sardegna, ha caratteristiche completamente diverse dagli altri che si producono altrove.

Da apicoltrice, che cosa risponderebbe a Cicerone che dei sardi, disse: “di questa gente anche il miele è amaro”.

Che per apprezzare il miele amaro bisogna essere degli intenditori.

Miele amaro, dal corbezzolo. È questa l’essenza sarda per eccellenza?

Personalmente propenderei per quello di cardo. So che sembra bizzarro ma il cardo ci rappresenta più del corbezzolo. Provate a immaginare una distesa di cardi e immaginate il profumo. Ecco quella è Sardegna.

Il miele è un prodotto fortemente legato ai sensi: odore, tatto, gusto e...vista. Come apicoltrice, vuole accompagnare chi ci legge alla scoperta delle sfumature di colore del miele? Anzi, in una armocromia del miele?

Ogni miele ha un suo colore caratteristico e va “assaggiato” anche con la vista. Il miele di girasole è di un giallo intenso, tendente all’arancio. Quello di acacia, quasi trasparente. I toni chiari del trifoglio giocano con quelli più ambrati dell’eucalipto e con quelli, scuri, del corbezzolo. Quella del miele è una bellissima gamma di colori.

Oltre ai profumi, uno dei suoi leitmotiv è quello dei tessuti. Un tema che ne richiama degli altri: mi vengono il mentre lo scrapolario, l’importanza della stanza della tessitrice e anche i dettagli in Cenere, di Grazia Deledda. Esiste un legame tra tutti questi elementi?

I tessuti e la loro simbologia mi hanno sempre affascinata. La sorella di mia bisnonna cantava alle api. Le prozie tessevano e cucivano. Queste musiche hanno scandito i tempi della mia infanzia. Sono cresciuta circondata da creatività e allegria. Mi sento privilegiata perché ho potuto osservare l’abilità e l’arte delle donne della mia famiglia, ho potuto toccare i meravigliosi tessuti che si componevano sotto i miei occhi. Eccolo il legame: la trama che si crea. Un giorno è un altro giorno, un filo è un altro filo. Una parola e un’altra parola che compongono una storia. La metafora del tessuto, dell’arte del tessere, è quella che unisce quanto mi è più caro e mi fa riflettere sulla vita, sul senso del costruire e ritrovare.

Possiamo dire che la sua storia, professione e le sue passioni, in qualche modo, fossero scritte nel destino della famiglia.

Non esiste il caso. Tutto ha un significato. Mio nonno mi diceva: “siediti e guarda”. E io mi sedevo insieme a lui sotto una pianta. Nei lunghi pomeriggi d’estate, insieme, guardavamo il mondo che si muoveva davanti a noi. Le tensioni si alleggerivano, i pensieri volavano via, l’anima si riempiva di emozione.

Nel 2019 l’Associazione delle donne imprenditrici, AIDDA, le ha conferito il premio come donna dell’anno. Quale consiglio darebbe a una neo imprenditrice sarda?  

Per me sono fondamentali due cose: sogno e competenze. Vanno di pari passo. Bisogna osare ma farlo con una strategia. Credo sia necessario trovare il proprio percorso, non arrendersi mai e crederci sempre.

 

 

 

 

Autore dell'articolo
Mariella Cortes
Author: Mariella Cortes
Curiosa per natura, alla perenne ricerca di luoghi da scoprire, persone da raccontare e storie da ritrovare. Giornalista dal 2004 per carta, televisione, radio e web, lavoro a Milano come formatrice per aziende e professionisti e come consulente di marketing e comunicazione. FocuSardegna è il filo rosso che mi lega alle mie radici, alla mia terra che, anche nei suoi silenzi, ha sempre qualcosa da dire. Mi trovi anche su: www.mariellacortes.com
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