Quanto sono belle le sue figurine Donatella, racchiuse tra le righe della sua grossa scrittura: la reginetta fiabesca, l’angelo che sembra una campana, la maestra sotto la pioggia con le sue bambine(…) . ma a lei Donatella, dei complimenti sul giornale non gliene importa niente, perciò preferisco farli alla sua maestra. Così scriveva Eugenio Tavolata nella cronaca di Sassari  del 19 luglio del 1950 a proposito di Donatella, una bambina di appena sette anni che aveva vinto un concorso per le scuole elementari con dei disegni mandati dalla maestra.

L’amore di Donatella Mineo per la pittura nasce e si sviluppa precocemente e assume negli anni tratti, caratteristiche e influenze sempre diverse. Frequenta l’Istituto d’arte di Sassari laureandosi nel 62.  Insegnerà sino al 1998 in scuole medie e superiori. Tra una lezione e l’altra fa ritratti ai suoi studenti e agli amici senza però dipingere su tela o esporre le sue opere. L’esordio arriva nel 75 grazie a Giampaolo Currias, che la convince ad iscriversi ad una estemporanea di pittura o Olmedo che le fa vincere una coppa. Da quel momento in poi, continuerà con acquarelli e oli e nel  1979 insieme a Marta Giannuzzi organizza la prima mostra portando poi le sue opere a Londra,  in Spagna, in Toscana, in Slovacchia, Giappone, Inghilterra e in giro per la Sardegna. 

Come nasce questa passione?

«L’amore per la pittura è nato insieme a me. Da bambina- dice mostrando i disegni premiati da Tavolata- disegnavo in continuazione. Poi ovviamente gli studi e la pratica e uno sconfinato amore per l’arte  mi hanno portato a perfezionarmi sempre più».

 E se Ugo Foscolo nel suo Epistolario diceva che “L’arte non consiste nel rappresentare cose nuove bensì nel rappresentarle con novità, nelle tele di Donatella emerge un nuovo lato nuovo del mondo. Il suo è un universo di zucche che sembrano case di fate, panorami arabi, fiori giganti o in tre dimensioni, conchiglie e tromp l’oeil.

In oltre quaranta anni di pittura, lei ha sperimentato quasi tutte le tecniche pittoriche e ha rappresentato di tutto. Che tipo di evoluzione artistica c’è stata?

 «Prima prediligevo i paesaggi, ora nature morte e conchiglie hanno il sopravvento sulle mie tele così come tra tutte le tecniche pittoriche che ho utilizzato, rimane un amore particolare per l’acrilico, l’ olio e il pastello».

Ci sono state delle influenze particolari?

«Non si può parlare di influenze in senso stretto o di ispirazioni. Ci sono dei pittori a cui sono particolarmente legata. Tra questi vi è Frida Calo che ho conosciuto grazie alla mostra organizzata da Lea Vergine nell’1981, “L’altra avanguardia”. Nel 1990 ho conosciuto invece le opere di  Georgia ‘O Keeffe e nel 1991 le ho dedicato una mostra nella Galleria Ars di Sassari. Ero rimasta colpita dai fiori macroscopici rappresentato dalla pittrice e da questa ammirazione sono nati una serie di quadri, per lo più pastelli, che rappresentavano ,appunto, dei fiori giganteschi realizzati sul suo esempio ma con idee e soggetti personali».

Che rapporti ha con i suoi “colleghi”?

«In generale buoni anche se non ho una frequentazione così assidua. Solitamente ci si incontra durante le estemporanee di pittura ed è un po’ che non partecipo. Mario Gaspe, un caro amico, mi ha invitato alla sua ultima mostra a Palazzo Ducale, poi conosco altri pittori sassaresi e non con cui mantengo i contatti» .

A proposito di pittori locali. Come viene vista la pittura in Sardegna? Chi sono i pittori sardi e cosa fanno per uscire fuori dai confini isolani?

 «Nel 1989 ho partecipato a Londra a  una collettiva sull’arte sarda nel mondo. Al di là di episodi di questo tipo però, devo dire che il  pittore sardo solitamente resta in Sardegna. Diventare famosi non vuol dire solo essere conosciuti a livello locale o alle mostre. L’unico pittore locale che sta assumendo rilevanza internazionale è Giuseppe Carta, un pittore iperrealista famoso soprattutto per i quadri con i bicchieri accatastati. Inoltre, a differenza di uno scrittore che può dar vita a casi letterari partendo da reminescenze, tradizioni locali e rendendo palesi le proprie radici, per un pittore le  cose sono completamente diverse. Può - e solitamente è così- non parlare attraverso le tele della propria terra e creare invece stili e soggetti assolutamente personali».

Ma nella pittura esista ancora il mecenatismo?

«Faccio un esempio per tutti, quello di Antonio de Bidda. Vittorio Sgarbi vide i suoi quadri e ne fece un commento in apertura della mostra. Questo però non è servito a farlo conoscere al grande pubblico. La Sardegna purtroppo ha dei forti limiti. E l’esempio di Debidda, vale anche per altri pittori conosciuti magari a livello locale, che ottengono delle attenzioni da parte di alcune pietre miliari della pittura ma non escono dai confini locali. Un altro caso è quello di Artemisia Gentileschi che ha iniziato a far parlare di sé solo dopo il movimento femminista, prima si conoscevano solo le opere del padre. Quello che serve a un pittore, quindi,  oltre ad un indubbio talento è la fortuna, il giusto aggancio. Pochi artisti ci riescono.

Quanto può servire partecipare a una mostra o a un estemporanea per farsi conoscere?

«Ai concorsi e alle estemporanee vi è un enorme afflusso di partecipanti. I critici dicono che i pittori della zona di Sassari sono superiori a quelli degli altri comuni, quindi i talenti non ci mancano! Le mostre possono far conoscere, ma la strada per diventare famosi è diversa e più difficile. Un libro che nasce in sordina può diventare un caso, un quadro no.

È anche vero che Modiglioni che vendeva i suoi quadri a due lire, ha avuto il salto di qualità solo dopo la morte. E come lui tanti altri artisti vengono apprezzati solo dopo morti oppure come Delitalia, Biasi, Stefania Dessì sono noti in Sardegna, nell’ambiente delle mostre e in quello degli estimatori o dei collezionisti ma non fuori dall’isola».

Cosa significa per lei la pittura?

«Per me la pittura è ossigeno, linfa vitale. Non è un hobby e anche se come pittrice dovrei dipingere tutti i giorni, fare come i musicisti che si esercitano ogni giorno, purtroppo per ragioni che vanno oltre la mia volontà diventa un optional. Quando mi viene commissionata un’opera, come è stato per i due pannelli di Luna e Sole, che hanno richiesto oltre tre mesi di lavoro, dipingo ogni giorno senza sosta. E anche se il lavoro può diventare stressante, quando non c’è ne sento la mancanza. Per me dipingere è importante. È come la lettura, il teatro o il cinema, qualcosa che non mi deve mancare. Purtroppo non posso lavorare come vorrei e sono costretta a trascurare la pittura. Una cosa certa è che l’ispirazione non mi manca mai e più lavoro più le idee arrivano. E poi, più si sfrutta la creatività e più aumenta la fantasia».

http://donatellamineo.com/

 

 

 

Mariella Cortes

Autore dell'articolo
Mariella Cortes
Author: Mariella Cortes
Curiosa per natura, alla perenne ricerca di luoghi da scoprire, persone da raccontare e storie da ritrovare. Giornalista dal 2004 per carta, televisione, radio e web, lavoro a Milano come formatrice per aziende e professionisti e come consulente di marketing e comunicazione. FocuSardegna è il filo rosso che mi lega alle mie radici, alla mia terra che, anche nei suoi silenzi, ha sempre qualcosa da dire. Mi trovi anche su: www.mariellacortes.com
Dello stesso autore: