*DI ALBERTO MARCEDDU

377 sono i paesi della Sardegna, sparsi in un territorio troppo vasto. Distanze fisiche oltre che distanze intellettuali, le quali diventano incolmabili quando vi sono vuoti molto più profondi da colmare. Un vuoto chiamato paesitudine, neologismo che introduce solitudine e monotonia dei paesi, dai quali sono andati via tutti. E' andato perfino che vi è rimasto, poichè al paese si vive di rassegnazione e di negativismo seriale, ancor di più nel dopo pandemia.

Le persone stanno rintanate nelle loro tiepide case, è molto più probabile vedere un gatto che attraversa la strada, piuttosto che un pallone che sfugge dalle mani di un bambino. Un senso di solitudine accentuato ed aggravato dalla pandemia, che ha privato l’uomo, inteso come animale sociale, di uno dei bisogni naturali più importanti: l’incontro.

Le prospettive dei paesi sono le presenti: i dati occupazionali  dicono che nel post pandemia gli inattivi sono al +28% (ASPAL) ma il fattore più allarmante è che le persone sono talmente scoraggiate dalla situazione, che non solo non hanno un lavoro, ma persino rinunciano a cercarlo. Attualmente infatti il tasso di occupazione è del 45,1% per le donne contro il 59% degli uomini. Il tasso di disoccupazione giovanile registra un 40,9%, contro il 29,4% della media nazionale. E’ chiaro quindi che per le persone, dopo la preoccupazione principale della salute, la loro seconda preoccupazione è il lavoro e come andare avanti. Ci si accontenterebbe di sapere cosa fare al presente e non nel futuro più prossimo.

A Norbello, il 29 Maggio si è tenuto il primo incontro dibattito del post pandemia, secondo nuovi spazi della cultura, quelli all’aperto, nelle piazze.

Antonio Gramsci sosteneva che cultura non è il “sapere enciclopedico”. La cultura, è organizzazione, disciplina del proprio IO interiore, è presa di possesso della propria personalità, è conquista di coscienza superiore per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione della vita, i propri diritti ed i propri doveri. Cultura non è custodire una grosso magazzino di notizie, cultura è capacità della mente di comprendere la vita, comprendere il nostro rapporto con gli altri uomini. Ecco scovato il perché, dell’importanza dell’incontro nei luoghi che vi teniamo. Ha cultura colui che sente la relazione con tutti gli altri esseri.

Ecco che dopo oltre un anno, le misure di contenimento della pandemia, hanno cambiato la maniera di abitare i luoghi, gli spazi pubblici e ahimè anche quelli privati. La pandemia, però, ha portato anche qualcosa di buono: ha generato maggiori consapevolezze, permettendoci di individuare quali siano i bisogni primari individuali e collettivi.

Roma per una volta era alla pari di Norbello, Milano a quella di Bortigiadas e Torino a quella di Villa Verde, se pensiamo alla reclusione forzata; ma le differenze sono rimaste, se pensiamo che la pandemia ha anche accentuato le disparità sociali, dove zio Gavino non ha certo potuto godere degli stessi servizi di Zio Ludovico. Mentre nelle città, con la pandemia, la solitudine è diventata abitudine, nei paesi alla solitudine ci si conviveva da un pezzo. Nei paesi, la solitudine, quella metastasi dello spirito critico che genera l’indifferenza descritta da Gramsci, ci ha ri-abituati a non vedere gli spazi come luoghi comuni bensì individuali. Ci ha abituati ad essere indifferenti di fronte al dramma dei ragazzi, dei giovani, dei più piccoli, i più indifesi e coloro che necessiterebbero di una vera guida soprattutto in questo periodo storico.

A Norbello, il sindaco si infastidisce giustamente dei rifiuti abbandonati sul prato dai bambini e dai ragazzi, poco attendi al bene comune; - rientrerà mai nel loro vocabolario il termine di “bene comune” ? Magari avrebbero bisogno che qualcuno insegnasse loro, che nei luoghi di comando c’è sempre un adulto che si è scordato di essere bambino, o semplicemente avrebbero avuto bisogno di un cestino svuotato così da poterci far rientrare al suo interno i rifiuti. Anche relativamente a fatti come questo, risulta importante utilizzare delle lenti interpretative gramsciane per riflettere sull’utilizzo degli spazi pubblici e sulle relazioni. Lo è perchè il pensiero gramsciano è un pensiero molto attento che ci permette di comprendere che chi vive i luoghi e gli spazi si può emancipare. E non solo, ci permette inoltre di comprendere quale sia per le persone la concezione degli spazi, quelli che per Gramsci erano luoghi di cultura popolare.

Le azioni ed i gesti sono manifestazioni delle concezioni di spazio che le persone hanno, e dunque mi domando perchè non riprendere ad intraprendere dei percorsi di interscambio proprio con i più giovani, che esattamente con l’incontro fisico e non virtuale, riprendano il dialogo spostando le attenzioni verso la comprensione del bisogno dei più piccoli relativamente allo “spazio”.

Siamo sicuri che i nostri spazi corrispondano ai loro o che i loro spazi corrispondano ai nostri? Se un bambino passasse al bar si accorgerebbe dei mozziconi lasciati da suo padre o dall’amico di suo padre, ma il bambino al bar non mette piede, mentre un adulto sì, può recarsi dove gioca un bambino. Spesso pensiamo che i problemi siano complessi o che i problemi siano altri, ma la verità è che i problemi sono anche questi. 

Riflettere sui veri problemi delle comunità, ma soprattutto su quali azioni promuovere, affinché i giovani crescano e decidano di rimanere oppure di partire e ritornare o magari fare in modo che questi tirino su famiglia, facciano un figlio o adottino un/a bambino/a, potrebbe essere meno dispendioso e più proficuo dello spendere del denaro per un sistema di video sorveglianza che monitori ogni singola strada deserta dei paesi.

Voglio lasciarvi con una domanda alla quale proverò a rispondere in un successivo articolo:

Cos’è uno spazio ?

Cosa accadrebbe se i luoghi e gli spazi perdessero il flusso delle relazioni, perdessero la possibilità del contatto fisico ed idealistico, perdessero sostanzialmente la possibilità di trasformarsi in un segmento che unisce il sapere e la sua trasmissione?


* Alberto Marceddu

Ingegnere Meccanico e studente di Viticoltura ed Enologia presso l’Università di Sassari - Consorzio Uno di Oristano. Insegnante precario e tirocinante volontario presso l’ufficio tecnico del comune di Paulilatino. Già membro nazionale dell’Associazione Italiana Giovani per l’UNESCO e di altre associazioni nel territorio regionale. Fondatore del progetto culturale Teatrando a Corte. I suoi interessi spaziano dalla politica all’arte, dallo sport  all’archeologia, dalla tutela delle minoranze culturali all’imprenditoria.

Tutte le foto sono di Alberto Marceddu