Aprile 27, 2024

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    Di Emiliano Deiana

    Fin quando ci saranno storie da raccontare il mondo non avrà il tempo per finire. Le storie non le devi andare a cercare; sono loro che vengono a trovarti se hai un cuore che non sia vigliacco. Ero in Corsica per motivi che nulla avevano a che fare con questa storia. Tornavamo verso Bonifacio per imbarcarci. Nell'ora del mezzogiorno e decidiamo di arrivare a Propriano - sul mare - per mangiare un boccone.

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    *DI MARCO SECHI

    Durante la pandemia influenzale il dibattito sulla scienza è divenuto celebre nell’opinione pubblica e spesso ci siamo ritrovati a mettere in discussione l’opportunità delle cure mediche, come ad esempio quella del vaccino. Generalmente, si è tentato di dare nuova forza alla dignità della medicina, ma comunque ci si è sempre ritrovati a dover rispondere alle continue insinuazioni dei cosiddetti negazionisti. Costoro rifiutano aprioristicamente qualunque risultato che derivi da uno studio accademico, senza analizzare le questioni nel merito, ma sulla base di un pregiudizio che fa dipendere la scienza dalle decisioni di una presunta élite esclusiva.

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    *DI MATTEO PORRU

    Il mondo, visto da Lula, è fatto di alberi e nuvole. Che poi Antonio Mura mica c’è nato, a Lula. È nato a Bono, in pieno ottobre, nel 1908. A Lula ci cresce, con lo zio Giovanni Antonio, che di lavoro fa il sacerdote ma di vocazione ne ha anche un’altra: scrive, tra l’altro non male. Pubblica un romanzo, La tanca fiorita, per i tipi di una casa editrice di Milano, nel 1935, ma Antonio ha già ventisette anni, una laurea in pedagogia con una tesi complicatissima sull’opera hegeliana, l’abilitazione all’insegnamento di storia e filosofia e parecchi testi pronti da pubblicare. C’è un solo modo per non cadere nell’omonimia con lo zio: cambiare nome. Ed è quello che fa: aggiunge il cognome della madre, usa diminutivi, gioca con le crasi. Di fatto, quest’uomo si firmerà come Antonino Mura Ena, Antonio Mura Ena e Antonio Murena: uno e trino. Insegna all’Istituto Magistrale di Nuoro, poi scavalca il Tirreno e si trasferisce a Roma e prende una cattedra al Collegio di Santa Maria.

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    *Di MARCELLO FOIS

    Vorrei che si cominciasse a discutere della faccenda “cosa fare di ciò che è rimasto della casa di Bustianu?” senza troppi manicheismi e senza la tendenza locale ad estremizzare. Quando si estremizza è solo perché manca il materiale storico, scientifico, psicologico, etico per mettere in campo gli argomenti. E occorre considerare la realtà così com’è non per destino cinico e baro, ma perché frutto di altre, precedenti, diatribe alla nuorese, cioè frutto di discussioni accesissime, ma prive di sostanza.

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