C’era una volta una ragazzina di nome Anna, cresciuta in un borgo con una lunga tradizione di tessuti e sartoria. Anna imparò fin da bambina, dalle esperte donne del suo paese, a usare il telaio. Tale era la sua passione per quest’arte antica e meravigliosa che un giorno, ancora adolescente, preferì la sartoria alla scuola.

La madre, contraria a questa ostinata decisione, fu costretta a mandare i carabinieri a riprendere la figlia. Ma Anna continuò a cucire, testarda, finché, raggiunta la maggiore età, poté aprire la sua piccola sartoria.

Ormai adulta, si sposò con un uomo che aveva mille sughere. Fu allora che scoprì la tenera pelle di questi alberi, e cominciò a fantasticare su come farla divenire tessuto. Voleva inventare degli abiti speciali. Così, ogni notte, mentre suo marito dormiva, Anna liberava il grande tavolo della cucina e vi stendeva sopra fogli si sughero. Erano rigidi e difficili da lavorare, allora lei li cospargeva di intrugli nel tentativo di farli diventare morbidi e modellabili. Anna passò cento notti di veglia a cercare di domare quel materiale selvaggio. Finché, la centunesima, non si trovò tra le mani un velluto di sughero che la fece piangere di gioia.

Questa favoletta improvvisata, tolta qualche coloritura come il numero delle sughere o quello delle notti, è pura verità. Trova conferma nelle parole della sua protagonista, la tempiese Anna Grindi, pubblicate il 10 agosto 1999 in un’intervista sulla “Gazzetta di Porto Rotondo”.

Poco più di un anno prima, la stilista gallurese, dopo una spossante cerimonia burocratica, aveva depositato il suo particolare brevetto alla Camera di Commercio di Sassari: tessuti di sughero. Al Modit, uno dei più importanti appuntamenti tra quelli legati al settore dell’abbigliamento, la sua invenzione fu accolta con disarmato stupore.  “Guardavano la stoffa”, ricorda Anna Grindi in quell’intervista, “poi me, poi ancora la stoffa, la stringevano fra le mani e alla fine hanno detto : Signora, lei forse non si rende nemmeno conto di che cosa ci sta proponendo. Questo tessuto è una bomba!”

A quel punto fu fatta per davvero. I principali esponenti del mondo della moda cominciarono a interessarsi a questo prodotto sorprendente, adatto per abiti e addirittura calzature, accessori e rivestimenti di vario genere. Il tessuto, morbido, vellutato e leggero come la seta, è una sorta di pelle vegetale (ecologica e meno costosa di quella animale); è ricavato da una materia rinnovabile, la corteccia che ricresce sul tronco dell’albero da cui viene tolta. Ha proprietà ignifughe e termoisolanti; è antiacaro, antigraffio, antimacchia e impermeabile. Può essere colorato, lavato e stirato. Reso in fili, può essere tessuto sia a mano che a livello industriale.

A sentirselo sulla pelle, è davvero morbido.

                                                                    

Da “101 cose da fare in Sardegna almeno una volta nella vita” di Gianmichele Lisai

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Natascia Talloru
Author: Natascia Talloru
Freelance nel settore culturale. Dopo anni di formazione scientifica tra Cagliari e Milano, mi indirizzo nello studio delle terapie naturali, della medicina alternativa e antropologica, in particolare della Sardegna. E’ in Barbagia, nei luoghi del cuore, che le mie passioni per il giornalismo, la comunicazione e la musica si trasformano nel tempo in lavoro. Attualmente scrivo su testate giornalistiche online/offline e collaboro con diverse realtà locali nell’ambito della comunicazione web. Ho ideato Ilienses, un progetto musicale, culturale e audiovisivo sulla Barbagia, di cui sono anche General Manager. Vagabonda errante per natura, trovo la mia pace dei sensi nell’abitare e vivere i paesi della Sardegna, a contatto con la terra e le sue meraviglie.
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