Antonio Marras, classe 1961 di Alghero, si è affermato nel mondo della moda per i suoi abiti originali e per lo stile ruvido ma al contempo elegante ispirato alla cultura sarda, fatta di materiali semplici e tradizionali. Familiarizza fin da bambino con stoffe e tessuti nelle boutique del padre e, dopo anni di consulenze e collaborazioni con diverse aziende del settore, propone nel 1999 la sua prima linea di pret-a-porter a Milano. Da qui, ha inizio una carriera contrassegnata da traguardi e riconoscimenti. Già nel 2003, anche grazie alla sua forte caratterizzazione dei capi, viene invitato dal gruppo francese LVMH a ricoprire la carica di direttore artistico della maison Kenzo. Nel 2005 apre a Mosca, nella prestigiosa Petrovskji Passage, il primo flagship store Antonio Marras, realizzato in collaborazione con Bosco di Ciliegi, una delle più importanti società russe di importazione di marchi.

Nel 2006 inaugura il secondo monomarca ad Alghero, nel 2007 apre un altro store a Mosca mentre nel 2008 è la volta di Milano, in Via Santo Spirito, esattamente nel cuore del quadrilatero della moda. Sempre nel 2008 estende la portata del suo incarico da Kenzo diventando direttore artistico globale del marchio fino al 2011. Con lui abbiamo parlato non solo di moda, ma di artigianato, identità e soprattutto di Sardegna.

Partiamo:

Come nasce l’Antonio Marras stilista?

Nella definizione di stilista non mi sono mai ritrovato in realtà. Preferisco invece definirmi “uno prestato agli stracci”. L’approccio con la moda è avvenuto all’improvviso: la scomparsa di mio padre, las butigas di famiglia da gestire…poi un giorno un produttore di abbigliamento me lo propose, ma rifiutai per i successivi due anni. Poi, grazie anche al supporto di mia moglie Patrizia e il mio costante desiderio di conoscere che mi spinge sempre oltre, è nata “Piano piano dolce Carlotta” la mia prima collezione, omaggio alla mia grande passione per il cinema e a Bette Davis.

Lei ha dichiarato che un incontro con Maria Lai le cambiò vita. Che influenza ha avuto l’artista Ulassaese nella sua evoluzione professionale?

L’incontro con Maria Lai ha segnato per sempre la mia vita. Con lei ho instaurato un rapporto speciale, una vera e propria sintonia di interessi e di idee. Un dialogo tuttora ininterrotto. Un’incontro che ha segnato il mio approccio con l’arte e non solo…ha saputo dare spazio alle mie visioni.

Si può dire, quindi,  che Maria Lai, come allieva di Salvatore Cambosu, abbia in un certo qual modo trasmesso in lei il rispetto e la devozione tipicamente cambosiani per la Sardegna e la capacità di sentire le proprie Radici senza dover abbandonare la propria terra?

La Sardegna ha un ruolo determinante nella mia vita, nel mio lavoro. È una terra a cui mi sento fortemente e profondamente radicato e che mi riserva sempre incredibili sorprese. Tenebrosa e discreta, una e molteplice, vitale e creativa, chiusa e aperta, forte della sua tradizione e disponibile a nuovi progetti, la realtà sarda è carica di complessità, contraddizioni, conflitti che si trascinano da millenni, ma è anche una realtà viva e originale, attratta dalla corrente della modernità.La Sardegna è  il centro di ogni mia ricerca. Da essa traggo storie, colori, procedimenti artigianali ed elementi stilistici. È una fonte di ispirazione inesauribile, perché è una delle aree più stratificate d’Italia, e non solo. Influssi mediterranei, fenici, punici, bizantini, arabi, catalani, spagnoli, francesi ecc. ci fanno essere quelli che siamo, nella lingua, nei pensieri e nel vestire. Il costume sardo affascinò e affascina per la straordinaria varietà, per gli elementi strutturali, decorativi, cromatici e per il suo significato di identificazione etnica. Tutto, nel vestire tradizionale sardo, parla, comunica; capi di abbigliamento, ornamenti personali, ricami esprimono la dimensione  sociale delle persone che li indossano e ne conservano e trasmettono gli stati emotivi, le memorie, i valori. I moduli decorativi, i decori sono carichi di significati simbolici; gioielli in filigrana, amuleti, trine, tele ricamate, asimmetrie, dissonanze, intarsi di tessuti preziosi e poveri, assemblati tra loro, danno vita a soluzioni sempre nuove, a creazioni di estrema attualità, in cui convivono storia  e contemporaneità. Nel mio lavoro ritornano citazioni sarde, riferimenti alla storia, alla vita quotidiana, al mondo artigianale, all’arte, alle fotografie ingiallite, ricordi e atmosfere di  un’antica cultura mediterranea rivisitata e ripensata. Una Sardegna fatta di ossimori, di oscure chiarezze, di taciti tumulti, di caos calmi, di sole moltitudini, di molteplici unità… in cui vedo me stesso e il mio lavoro.

Nel 2008 è stato nominato direttore artistico globale della famosa casa di moda francese Kenzo ma ha comunque scelto di continuare a vivere in Sardegna. Perché preferire Alghero a Parigi?

Ho sempre vissuto il paradosso tra la mia voglia di nomadismo e il radicamento alle mie origini. Alghero in particolare è da considerare un’Isola nell’Isola. Non so se sa che “Isola” significa “nel mare” e il mare per me è movimento continuo, agitarsi di onde, andare, venire. Il mare è libertà, non “isola” affatto la terra che circonda, anzi invita al viaggio. Per questo chi nasce in un’isola sente il bisogno di partire e poi tornare.

Come descriverebbe il suo legame con la Sardegna?

La Sardegna è sempre con me e da sempre ha avuto un ruolo determinante sia nella mia vita sia nel mio lavoro. È una terra a cui mi sento profondamente radicato e che riserva tante sorprese. Considero un privilegio l’essere nato in quest’isola. Per me, l’identità non è un dato statico. Non  è pura memoria, ma qualcosa di dinamico, dialettico, una costruzione continua. Noi e gli altri, separati ma legati. Le radici della sarditudine sono da ricercare nella  stratificazione e mescolanza di diverse culture, che fanno della nostra isola una realtà carica di contraddizioni. Un’isola non risolta né felice, né piegata né sconfitta, sofferta e combattiva, attratta dalla modernità.

Che cos’è per lei l’arte e in che modo cerca di esprimerla attraverso le sue creazioni?

Vi è uno stretto confronto tra mondo dell’arte e mondo della moda. In particolare nella mia vita e nel mio lavoro, l’arte ha sempre avuto un ruolo importante.  Gli artisti mi hanno ispirato e guidato. Maria Lai per prima e poi tanti altri, fino a Darger e le sue Vivian Girls. Le incursioni nei territori dell’arte sono tante, collaborazioni, mostre. Trama doppia, l’ambizioso progetto realizzato nella mia città, che ha visto  “Llencols de aigua” con Maria Lai; “Uno più uno meno” con Claudia Losi; “Il Racconto della forma”;“Minyonies”; “Noi facciamo. Loro guardano” con Carol Rama e tanti altri. Tutte le arti tendono ad unificarsi. Non esiste separazione  tra arti diverse, anzi c’è corrispondenza. Questo mi affascina ed è alla base dei miei  sconfinamenti.

In Sardegna si denota, ultimamente, un particolare fermento nelle arti figurative. Riesce ad individuare qualche interessante realtà emergente? 

Relativamente al cinema, sicuramente. Al cinema sono particolarmente legato e la realtà sarda sta producendo grandi cose. Penso a Salvatore Mereu con Sonetaula e Bellas Mariposas, penso a "Su Re" di Columbu e al Film con Geppy Cucciari di Paolo ZuccaL'arbitro" presentato pochi giorni fa a Venezia.

“Laboratorio” è una delle sue linee che ha la caratteristica di essere una produzione semiartigianale realizzata in Sardegna. È da considerarsi, questo, un riconoscimento alla qualità degli artigiani sardi?

Ad Alghero, nella mia casa-laboratorio, nasce la linea Laboratorio, una stanza che mi sono riservato e che difendo dalla routine produttiva delle collezioni. Si tratta di una produzione artigianale realizzata grazie alla collaborazione di  sarte, ricamatrici, artigiani e laboratori di piccoli paesi dell’isola. Frutto di eccezionale bravura e di codici tramandati da millenni, di cui queste maestranze sono fedeli custodi. E ancora la linea Serie Limitata, pezzi unici realizzati completamente a mano e interamente in Sardegna, uno per volta, a difesa dell’unicità dalla concorrenza della produzione seriale.

Come riesce, nel suo stile, a coniugare tradizione e innovazione?

Io sono un sardo e sono un artigiano, lavoro come un artigiano, da sempre animato dalla convinzione che l’artigianato sia matrice di identità e strumento di sviluppo, vero motore capace di rileggere  e interpretare il passato ma anche progettare il futuro e proiettare in esso il profilo identitario di un popolo. Soprattutto oggi, in un mondo globalizzato e decisamente avviato verso l’omologazione, all’artigiano spetta il difficile compito di affermare il diritto a difendere e salvaguardare  le proprie peculiarità e valorizzare la diversità come fattore di ricchezza e patrimonio da custodire e far conoscere a tutti.

Un consiglio che si sente di dare ad un giovane sardo.

Andare, uscire ,viaggiare, conoscere e ritornare a casa.

 

Simone Tatti

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Simone Tatti
Author: Simone Tatti
Giornalista, data analyst e performance strategist per aziende, istituzioni e privati che hanno bisogno di implementare il proprio business e costruire un’immagine positiva mediante comunicazione tradizionale e digitale. Economista di formazione, con master in sviluppo territoriale e gestione d’impresa mi appassiono al mondo dei media dopo aver vinto il primo concorso universitario Heineken – Ichnusa in “Marketing e Comunicazione”. Scrivo con costanza da circa nove anni su testate giornalistiche off e online prediligendo la produzione di reportage e articoli di analisi statistico/economica. Per amore verso la mia terra, fondo www.focusardegna.com. Ho curato l’immagine e la comunicazione di progetti di destinazione turistica (i.e. Distretto Culturale del Nuorese e Sardinia East Land | destinazione globale Nuorese Ogliastra) e la gestione dei canali social di affermati mass media (Unione Sarda, Videolina e Radiolina). Di recente anche startupper.

Per sapere altro su me o quel che faccio, visita il mio sito www.simonetatti.it.

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