In base al Rapporto 2014 sulle Imprese guida in Sardegna della Regione, cinque delle prime dieci aziende guida della provincia di Nuoro operano nel settore agroalimentare, tutte con fatturati superiori ai 10 milioni di euro all’anno. L’intero comparto conta nel Nuorese 370 aziende e occupa 1448 addetti(censimento Istat 2011). Positiva anche la bilancia commerciale: nel 2012 l’agroalimentare nuorese ha esportato prodotti per 25 milioni di euro (al terzo posto dopo chimica e comparto lapideo), e ciò a fronte di importazioni pari a 4,5 milioni. I numeri confermano la vitalità di un settore di punta dell’economia nuorese, un’industria che vanta produzioni di pregio e imprese che innovano e investono. In provincia per esempio sono 88 le aziende agroalimentari che hanno presentato piani di investimento nell’ambito del programma regionale per le Aree di crisi della Sardegna centrale, con incentivi previsti pari a 14,1 milioni di euro.

Le aziende dell’agroalimentare utilizzano materie prime di qualità, il 70% delle quali provengono dalla produzione agricola sarda. Le nostre industrie, che rispettano in modo rigoroso gli standard di sicurezza alimentare, sono strutturalmente obbligate a importare parte delle materie prime per compensare una produzione agricola regionale insufficiente. Del resto anche l’80% delle frutta, verdura e carne consumata dalle nostre famiglie non è sarda. Per questofacciamo il tifo affinché l’agricoltura raddoppi il proprio fatturato che oggi vale appena il 3% del PIL regionale e circa lo stesso a livello provinciale. L’industria agroalimentare, orgoglio del nostro made in Sardinia, va sostenuta promuovendo maggiore integrazione proprio con il settore agricolo, e ciò a vantaggio di entrambi i comparti. Un modello vincente è ad esempio quello del Polo del pomodoro, costituito lo scorso 26 aprile, che riunisce aziende agricole e dell’industria di trasformazione di dieci regioni italiane, tra cui la Sardegna. Un modello di collaborazione che potrebbe essere replicato anche in altri settori, è una proposta che presentiamo alle aziende ed alle associazioni agricole. Per esempio nel comparto carni, dove le industrie del settore salumi, che non possono per legge utilizzare i maiali sardi a causa della peste suina e sono costrette a lavorare solo suini importati, rischiano addirittura la chiusura totale.

Confindustria è schierata contro le illegalità, ma è scorretto assimilare l’utilizzo di materie prime importate alla contraffazione, così si danneggiano entrambi i settori. L’uso, peraltro parziale e spesso obbligato, di materie prime non sarde non è contraffazione, il prodotto resta sardo. Viceversa si arriverebbe al paradosso di sostenere che il latte o le carni prodotte nell’isola non sono sarde perché si utilizzano mangimi importati. Il valore aggiunto del made in Sardinia sta nella capacità di trasformare e produrre e proviene dal bagaglio di ricette, tradizioni, competenze ed esperienze che sono patrimonio della nostra isola.