Tradizioni

I personaggi del Carnevale sardo: Boes e Merdules

Il coinvolgente carnevale di Ottana conserva riti e maschere molto simili a quelli originali. È rappresentato da tre personaggi: Su Merdule, Su Boe e Sa Filonzana. Tutte le maschere di Ottana vengono in genere chiamate “Merdules”. Ma su Merdule vero e proprio indossa bianche pelli di pecora (sas peddes), porta sul capo un fazzoletto femminile nero (su muccadore), e sul viso ha una maschera nera antropomorfa (sa carazza) in legno di pero selvatico, dall’espressione impassibile; sovente la maschera è resa deforme da bocche storte, denti in evidenza o nasi lunghi e adunchi. Ha in mano un bastone (su mazzuccu) e una frusta di cuoio (sa soca). Non porta campanacci. Ha gambali in cuoio (sos gambales) e calza sos cusinzos o bottinos, le scarpe da campagna del pastore. Si suppone che il suo nome sia di origine nuragica: da “mere” (padrone) e “ule” (bue): padrone del bue.

I personaggi del Carnevale sardo: Boes e Merdules

Bois e Fui Janna Morti in contu de Animas e Carrasegare

Tali processioni e rappresentazioni venivano fatte il martedì grasso (martis de coa), e per il Carnevalone (ultima domenica, prima della Quaresima). Tra i personaggi più ricordati ad Escalaplano si ricordano i nomi di tziu Filicinu Pisano, tziu Cogotti, tziu Peppinu Locci, tziu Frorisceddu, tziu Dottoreddu ( che non per caso ha preso questo sopranome). Questa tradizione è scomparsa poco dopo gli anni '50. 

Mi parlate de su " FUI JANNA MORTI "?

Bois e Fui Janna Morti in contu de Animas e Carrasegare

Schierarsi per il Boe o per il Merdule

Qualche anno fa ho scoperto che assistere a un concerto di Vinicio Capossela può essere un’esperienza piuttosto evocativa. A un certo punto della serata il cantautore si è messo in faccia una maschera che aveva, fissato al suo interno, un microfono. Veniva fuori un suono ovattato, e le parole risultavano quasi incomprensibili. Capossela, curvo su se stesso, sbatteva sul pavimento del palco un mazzo di campanacci di ferro. Fu forse proprio questo gesto che, ricordandomi il rito del Mamuthone, mi fece dire alla persona che mi accompagnava: “Secondo me è una maschera sarda”. Eppure, in tutta evidenza, quella maschera bovina non aveva nulla a che fare con la più famosa made in Mamoiada.

Schierarsi per il Boe o per il Merdule

I personaggi del Carnevale sardo: Mamuthones e Issohadores

Il Carnevale di Mamoiada è uno dei più affascinanti della Sardegna, grazie alle sue inquietanti maschere e all’ancora più misteriosa danza che esse inscenano. Sos Mamuthones: portano sa bisera, maschera nera di legno d’ontano o pero selvatico, di fogge antropomorfe. L’espressione è sofferente o impassibile: labbra, naso, zigomi sono pronunciati per nascondere e trasfigurare le sembianze umane. In testa portano su bonette, copricapo maschile, e su muncadore, fazzoletto femminile, marrone o granata. Indossano sas peddhes, mastruca di pelli di pecora, sopra un abito di fustagno o velluto (su belludu); calzano sos husinzos, scarponi del pastore.

I personaggi del Carnevale sardo: Mamuthones e Issohadores

Indossare la maschera del Mamuthone

Una maschera nera dai lineamenti grotteschi, lontani dalle sembianze umane ma al tempo stesso disperatamente umani. Legno di pero selvatico, duro sul volto, a darle forma. Zigomi sporgenti e sguardo che affiora dai fori all’altezza degli occhi. Un altro foro a livello della bocca per il respiro, e la testa cinta da un fazzoletto marrone legato sotto il mento. Mastruche di pecora nera sopra l’abito di velluto e trenta chili di campanacci in ferro che vengono sbattuti coprendo qualsiasi altro suono. E’ così che si conciano i Mamuthones di Mamoiada.

Indossare la maschera del Mamuthone

Quando la tradizione diventa cura

Sebbene attualmente non sia ben chiaro a tutti, la direzione che l’uomo moderno va prendendo nel tempo presuppone la costruzione di un mondo sempre più artificiale: il mondo delle città, delle grandi vie di comunicazione, degli allevamenti simili a catene di montaggio, delle reti telematiche, delle realtà virtuali. L’uomo moderno ha la presunzione di essere padrone e centro dell’Universo, è suo, è qualcosa che deve essere condizionato, razionalizzato, sfruttato.

Quando la tradizione diventa cura

I fuochi di S. Antonio: il significato del ballo intorno a su fogarone

C’ è un fuoco che divide e uno che unisce, uno che distrugge e uno che alimenta i buoni propositi, uno maledetto e uno rituale. Gennaio è mese dei fuochi. Non di quelli che riempiono il cielo estivo di polvere nera ma di altri, forse più silenziosi per la stampa nazionale, ma immancabili nella tradizione sarda.

Parliamo della festività di Sant’Antoni de su fogu, rito di matrice paleocristiana che culmina con l’accensione di giganteschi falò che ardono per tutta la notte del 16 gennaio.

I fuochi di S. Antonio: il significato del ballo intorno a su fogarone

Il Natale nella Letteratura sarda

Salvatore Cambosu in Miele Amaro, il suo capolavoro, - che possiamo, considerare un’antologia, un catalogo generale dell’identità sarda, della sua storia e della sua civiltà - ora come etnologo e antropologo, ora come demologo e storico, ma soprattutto come narratore e poeta, racconta dall’interno, dal sottosuolo, facendosi portavoce del popolo, una sardità non mitizzante ma ancorata alla realtà. E con essa descrive riti e tradizioni.

Fra i tanti temi a lui molto cari e tra i più frequentati vi è il Natale. Ecco cosa scrive in proposito nel capitolo Poesie Natalizie liete e tristi: «Certo, ci vuole proprio un villaggio perché un bambino come Gesù possa nascere ogni anno per la prima volta. In città non c'è una stalla vera con l'asino vero e il bue; non si ode belato, e neppure il grido atroce del porco sacrificato, scannato per la ricorrenza. In città è persino tempo perso andar cercando una cucina nel cui cuore nero sbocci il fiore rosso della fiamma del ceppo. E infine, con tante luci che vi oscurano le stelle, è troppo pretendere attecchisca la speranza che, alla punta di mezzanotte, i cieli si spalancheranno e dallo squarcio s'affaccerà una grotta azzurra...».

Il Natale nella Letteratura sarda

Da Costantino a Santu Antine

Fino all'avvento dell'Islam nessuna trasformazione fu più profonda della conversione di Costantino al cristianesimo e della successiva cristianizzazione dell'impero romano. Il pantheon romano così flessibile si accorse che non c'era spazio in esso per il nuovo Dio cristiano così preponderante, ed anche il Nuovo Testamento che aveva sempre diviso Cesare e Dio dovette fare adesso i conti con un Cesare scelto da Dio.

La distinzione tra religione e politica, così cara ad ebrei e cristiani, non era propria dei pagani: per loro vita civile e vita religiosa erano un tutt'uno, e le massime cariche civili e militari erano al tempo stesso anche cariche religiose. Era loro incomprensibile associare uno stato multiculturale al politeismo a differenza dei cristiani che valorizzarono presto il nesso tutto teorico tra la loro religione monoteista ed il nuovo stato.

Da Costantino a Santu Antine

Franco Maritato e i volti del carnevale tradizionale ottanese

Boes, Merdules e Ilonazana. I volti del carnevale tradizionale ottanese hanno in comune tra loro gli inconfondibili tratti artistici di un artigiano locale. Franco Maritato, trentasei anni e una spiccata abilità nella lavorazione del legno, ha saputo coniugare la sua passione per la Sardegna con quella per l’artigianato artistico trasformando in professione l’attività che inizialmente praticava solo come hobby.È cosi, dunque, che all’età di 28 anni e contro il parere di amici e parenti, decide di lasciare il lavoro di operaio presso una delle tante fabbriche presenti nella piana di Ottana per aprire un laboratorio artigianale dall’inconsueta produzione: le Caratzas, ovvero le maschere del carnevale tradizionale ottanese. Una scelta indubbiamente azzardata ma che con il tempo si sarebbe rivelata azzeccata.

Franco Maritato e i volti del carnevale tradizionale ottanese

Il "fui janna morti" di Escalaplano, una tradizione riscoperta.

“Me lo ha raccontato mio nonno”. Quante volte si è ascoltato un inciso simile, senza dare troppo peso al suo significato. Non vuol dire soltanto “lo so per mezzo di altri” “fidati è così, uno più grande me lo ha insegnato” o “ non conosco bene la storia, ma fingo ugualmente di esserne esperto citando un parente”.  Nel dire “me lo ha narrato  mio nonno”, si riconduce a due termini ben precisi: “ antiche tradizioni”. E se è un giovane a raccontarle, significa che le tradizioni occupano una parte importante nella memoria di un borgo e di chi le accoglie.

Il "fui janna morti" di Escalaplano, una tradizione riscoperta.

Ardia - Sedilo. La tradizione che si rinnova.

L'Ardia è una corsa sfrenata a cavallo fatta in onore di San Costantino, che si svolge ogni anno a Sedilo la sera del 6 luglio e si ripete la mattina del 7 e ricorda la battaglia di Ponte Milvio tra Costantino e Massenzio. È guidata da un capocorsa, sa prima pandela, seguito da altri due cavalieri, sa secunda e sa terza, e da tre scorte che rappresentano Costantino e il suo esercito.

Ardia - Sedilo. La tradizione che si rinnova.
Image