A differenza di altre maschere barbaricine, quelle di Tonara, Gavoi, Ovodda e Fonni, fatta esclusione per s'urthu, non hanno particolari connotazioni se non quelle che manifestano. E' da escludere, con ogni probabilità, qualsiasi richiamo a riti, simboli e figurazioni misteriose. E' probabile che s'urhtu (maschera d'animale presente a Samugheo, Sarule e Ulatirso) sia l'animale che scendendo a valle dalle vette innevate, annunci l'incombente primavera.

Il Don Conte di Ovodda, così come il Narcisu di Fonni (descritto già in alcune testimonianze di fine dell'800), come il Frogna Cariu di Tonara è il tragicomico oggetto dei consueti riti di eliminazione del carnevale: Don Conte verrà bruciato perché responsabile dei mali della comunità, elencati da un giudice che ne sancisce la condanna. A Tonara il carnevale e' chiamato coli coli. Deriva dal greco Colos: vestito di pelle di pecora.

LE MASCHERE

Di recente, a Fonni, è stata ripristinata la più antica tradizione carnevalesca.Protagonista del carnevale fonnese è Narcisu, detto anche Ce homo (che sta per Ecce Homo), il grosso fantoccio destinato al rogo perché ritenuto responsabile di tutte le disgrazie occorse alla comunità di Fonni e a quelle limitrofe.Altra importante figura del carnevale fonnese è s'urthu, l'orso forte, temibile e robusto, rivestito un tempo di pelli bovine e col viso nascosto da una maschera di sughero.Oggi s'urthu, nelle sue sporadiche apparizioni, si veste soprattutto di lana di pecora: così come accade in altri carnevali del centro Sardegna, è costretto da pesanti catene tenute da domatori che a stento trattengono un'esuberanza e una vitalità espresse abbracciando le ragazze e sporcandole con fuliggine.

Anche Coli Coli di Tonara che deriva dal greco Colos era un tempo aderente al suo significato : colui che e' vestito di lana di pecora. Come a Tonara anche a Gavoi, la tradizione delle maschere, più che informarsi a figure e immagini del passato, è assimilabile a quella delle più consuete e moderne allegorie.Ma ancora oggi gruppi mascherati accompagnano Zizzarrone, il fantoccio di carnevale, al ritmo del tamburo battente, al suono del piffero e al tintinnar del triangolo. E' consuetudine, a Ovodda, dare libera briglia all'invenzione carnevalesca: la festa delle maschere è vissuta all'insegna della beffa e dello scherzo, della satira e dell'iperbole.L'effigie del carnevale di Ovodda è il fantoccio di Don Conte, destinato anch'esso, come da altre parti, in Sardegna, al rogo che chiude la festa. Così come accadeva a Tonara per il fantoccio Frogna Cariu. Che veniva bruciato nella pubblica piazza. Qui ancora dentro la Quaresima, il mercoledì delle Ceneri, su Mer?ulis de lessia.

LA SCENA

Tempo addietro, a Fonni, torme di maschere, sos buttudos, vestite di stracci, col volto annerito, usavano inseguire le ragazze bersagliandole con versi satirici e allusivi. Sos buttudos, inoltre, calandosi nella parte delle vedove e delle figlie senza padre, interpretavano un attittidu (canto funebre), rivolto proprio a Narcisu, il padre mancato, adagiato per terra e compianto con lamenti grotteschi. Frattanto, gli schiamazzi del popolo e i canti osceni e licenziosi si confondono coi lamenti delle vedove. A Gavoi, la chiassosa sfilata conduce Zizzarrone verso la piazza: lì si dà inizio ai balli tradizionali, accompagnati da su sonu (assemblaggio di suoni dati dal piffero di canna, il triangolo e il tamburo) e, non di rado, dal canto a boche 'e ballu.La sera, gruppi mascherati bussano alle porte delle case a far questua festosa di dolci e di vino. Un tempo, i giri serali per le case del paese erano accompagnati dai muttos 'e harrasehare mortu.I canti avevano inizio il giovedì grasso, giovia lardajola, quando un corteo di maschere, capeggiato da su parde 'e harrasehare (eccentrica maschera di frate questuante) accompagnava su mortu 'e harrasehare, figura interpretata da un istranzu poveru, un forestiero disposto a fare il morto. Intanto, il vino abbondante affinava la mordacità dei canti, fino a tarda notte.Il rito si ripeteva il martedì grasso, fino a s'intinghinzu, l'imbrattatura di fuliggini del mercoledì santo, evidente parodia del rituale quaresimale.

Così accadeva a Tonara : il carretto di Coli Coli girava per il paese tra sberleffi muttos satirici e sarcastici e botti di vino. E gruppi di maschere a fatzola posta, con la maschera in volto, in un turbinio di bolge festanti, faceva visita nelle case accompagnate da un garante, ifatzolau, su paralimpiu, che le scortava e che tranquillizzava gli ospitanti della condotta degli ospiti. Il pomeriggio dello stesso mercoledì, a Ovodda, si svolge la vera festa di carnevale: maschere colorate e fantasiose cavalcano asini agghindati, portano al guinzaglio maiali, pecore e galline.La piazza festante, ballando le più svariate danze, dal ballo sardo al rock and roll alla mazurka, attende l'uccisione di Don Conte, pupazzo che sarà bruciato e trascinato sopra un carrello fino ad essere fatto precipitare da un ponte.Tutti, a Ovodda, diventano attori di una teatro improvvisato caratterizzato dal gioco, l'anarchia e la baraonda. Alcuni ricercatori locali asseriscono che il nome "s'urhtu", maschera di Fonni, non stia per "orso" (animale assente nella fauna sarda) ma sia l'esatto contrario di "iscùrthu" (scalzo e, in senso figurativo, nudo), significando così, se si esclude la particella negativa "isc-", "coperto". Nelle bettole di Gavoi si usa ancora invece tenere a battesimo i tamburi, attribuendo a ciascuno il nome dello sfortunato cane che ne ha generosamente fornito la pelle.

Massimiliano Rosa