In fenicio Byt‘n. Insediamento di fondazione fenicia situato nella Sardegna sud-occidentale dove sorge l’attuale località di Torre di Chia raggiungibile attraverso l’antica strada quae a Nora ducit Bithiae. Sebbene la datazione attribuita alla fondazione del centro sia da porsi attorno all’ultimo quarto dell’VIII sec. a.C., l’area prescelta per l’installazione delle prime strutture antropiche mostra i caratteri tipici degli insediamenti risalenti alla fase precoloniale della navigazione fenicia in Sardegna: un paesaggio costiero proiettato sul mare, dotato di un ottimo porto di tipo fluviale e con un entroterra limitato e protetto dai rilievi di Monti Sa Guardia.

L’antica città fenicia è conosciuta soprattutto grazie ai rinvenimenti effettuati nell’area della necropoli e del tofet. Le sepolture di età fenicia, databili tra la fine del VII e l’ultimo quarto del VI sec. a.C., sono localizzate nella fascia sabbiosa litoranea a occidente del promontorio di Torre di Chia, sede dell’abitato di età arcaica. La scoperta dell’area cimiteriale si deve ad una violenta mareggiata avvenuta nel 1926 a seguito della quale l’archeologo Antonio Taramelli (allora Direttore della Soprintendenza alle Antichità) intraprese l’indagine del sito tra il 1928 e il 1933 ai piedi dell’altura della torre che portò all’individuazione di un lembo della necropoli arcaica a incinerazione e di parte dell’abitato di età romana. In questa occasione si rinvenne la statua monumentale di età tardo-punica rappresentante il dio Bes nonché l’iscrizione neo-punica dei primi anni del III sec. d.C. che ha permesso di conoscere il toponimo antico del centro (Byt‘n) e di accertare la persistenza della magistratura del sufetato (h_pt) ancora in piena età romana imperiale (ICO Sard. Npu 8). Gli scavi proseguirono nei primi anni ’50 grazie all’impegno di Gennaro Pesce il quale indagò la nota stipe votiva di età ellenistica caratterizzata dalla presenza delle tipiche statuette al tornio di sofferenti; in un periodo successivo, dal 1976 al 1983, ebbe luogo, a cura di Piero Bartoloni, l’esplorazione sistematica dell’area della necropoli per un’estensione di circa 500 m2. La tipologia degli interramenti attesta la predominanza del rito dell’incinerazione, sia in fossa direttamente scavata nel terreno che in cista litica, sebbene sia documentata in misura nettamente inferiore anche la pratica dell’inumazione, forse retaggio dei costumi funerari adottati dalle popolazioni nuragiche. Non mancano, infatti, recipienti di fattura indigena (alcuni restaurati in antico con grappe di piombo) da ritenersi chiaro sintomo del complesso fenomeno di inurbamento che si percepisce all’interno della comunità cittadina. I ricchi corredi riflettono gli orizzonti commerciali dell’antico centro, con le numerose forme ceramiche importate attraverso i fruttuosi scambi e contatti transmarini intrattenuti con le maggiori regioni del Mediterraneo centro-occidentale. Nella successiva età punica si diffonde in maniera quasi esclusiva la tipologia della tomba cosiddetta “a cassone” con grosse pietre disposte lungo il margine delle fosse adibite a contenere l’individuo inumato con relativo corredo. L’area sacra del tofet, ubicata sull’isolotto di Su Cardolinu a oriente dell’acropoli e nei pressi dell’imboccatura del porto fluviale, è stata installata a partire dall’ultimo quarto del VII sec. a.C. per spegnersi con la conquista cartaginese. L’indagine nel tofet, condotta a partire dal 1964, ha evidenziato come attorno ai primi anni del IV sec. a.C. sia stato edificato un santuario con peribolos e basamenti per l’erezione di edicole cultuali in luogo della precedente area sacra di età fenicia. L’analisi stratigrafica dei contesti sepolcrali ha evidenziato in maniera inequivocabile una netta contrazione del centro negli anni immediatamente successivi alla fine del VI sec. a.C. e i primi anni del V sec. a.C. ovvero uno iato nella documentazione delle sepolture della prima dominazione punica, chiaro sintomo dell’intervento cartaginese in Sardegna da porre in connessione con eventi bellici altrove documentati anche in contesto abitativo. Il porto fluviale rappresenta il perno di tutte le attività economiche che ruotarono attorno all’antica Bithia. Esso fu ricavato nell’estuario conseguente alla deviazione del corso del Rio Chia, favorita con tagli e costruzioni di argini praticati per impedire al fiume di alimentare l’antica laguna situata alle spalle dell’insediamento. 

Nel corso dell’età romana Bithia non diviene, come è il caso di Cagliari o Sulcis, una città di grande estensione ma la presenza antropica sembra piuttosto parcellizzata in piccoli nuclei sparsi nel territorio evidentemente connessi con attività produttive tra le quali l’agricoltura non dovette essere predominante a causa del ridotto entroterra sfruttabile. Il definitivo abbandono dell’insediamento è avvenuto tra la fine del IV e l’inizio del V sec. d.C.

A cura del Prof. Attilio Mastino


 

BIBLIOGRAFIA: P. Bartoloni, La necropoli di Bitia - I (= CSF, 38), Roma 1996; M. L. Uberti, Le figurine fittili di Bitia (= CSF, 1), Roma 1973.