A ogni sagra o festa patronale della Sardegna, troverete una bancarella dove si vende dell’ottimo torrone dal sapore artigianale. Provate a chiedere da dove venga quella bancarella. La risposta, novanta volte su cento, sarà: Tonara. In caso contrario provate a chiedere da dove provenga il torrone. La risposta, novanta volte su cento, sarà ancora Tonara. Questo modesto comune del Mandrolisai, a mille metri d’altezza rispetto al livello del mare, ricco di boschi e sorgenti, è infatti considerato la capitale del torrone sardo.

Si può ipotizzare che l’arte di fare il torrone sia stata importata dai lavoratori, provenienti da altre regioni d’Italia, ai tempi della costruzione della ferrovia Cagliari-Sorgono. Ma alcuni ritengono che la tradizione del torrone, a quell’epoca, fosse già consolidata nel paese da almeno mezzo secolo. Difficile quindi stabilire esattamente quali ne siano le origini. Si sa però con certezza che nel primo decennio del Novecento una sola famiglia del posto, praticamente in regime di monopolio, produceva più torrone di quanto riuscisse a venderne.

Si era perciò creato un discreto mercato che coinvolgeva i venditori ambulanti, i quali, raccolte le eccedenze di produzione, andavano a smerciarle in altri paesi della Sardegna, soprattutto in occasione delle feste religiose.

Verso gli anni ‘20 il numero delle famiglie che producevano il torrone era già sensibilmente aumentato. L’intera preparazione avveniva in modo artigianale.

Le materie prime, come miele e frutta secca, provenivano dal paese stesso, mentre le uova e gli altri ingredienti erano di facile reperibilità.

Alle donne spettava l’ingrato compito di sbucciare e tostare la frutta secca: mogli, figlie e nipoti dei torronai impiegavano ore per svolgere questa mansione noiosissima, in certi casi aiutate da altre donne pagate per la prestazione.

Con il moltiplicarsi delle famiglie produttrici, e il conseguente aumento di prodotto, crebbe in modo sostanzioso anche il numero degli ambulanti che esportavano il torrone, e altre specialità locali, nel resto della Sardegna.

Così Tonara divenne terra di torronai e di ambulanti. E poiché gli abitanti del posto avevano imparato dai lavoratori toscani (giunti in zona per costruire la ferrovia) l’arte della carpenteria, i carretti degli ambulanti erano costruiti nel paese stesso. Quindi i tonaresi, oltre che torronai e carrettinai, divennero anche carpentieri.

Un’ulteriore crescita della produzione impose presto la necessità di importare materie prime, come il miele abruzzese, e di sfruttare manodopera a pagamento. In seguito, l’arrivo dell’automobile diede una nuova spinta all’intero meccanismo.

Sostituito il carretto con le moderne macchine, il mercato si espanse ulteriormente, anche se inizialmente, a livello di produzione, tutto rimase pressoché invariato.

Solo tempo dopo, sia per lo squilibrio creatosi, sia per la modernizzazione costante dei mezzi a disposizione, arrivò quella che potremmo definire una produzione “parzialmente industriale”.

Oggi se qualcuno dice Tonara, in Sardegna l’associazione al torrone è automatica.

A suggellare tutto questo, nel 1979 è stata istituita una sagra del Torrone, in memoria di Peppino Mereu, uno dei più importanti poeti in lingua sarda. La manifestazione comincia la mattina, nella piazza centrale del paese, dove si può assistere all’intero processo di lavorazione del torrone e alla produzione dei campanacci, altro prodotto tipico del paese. I campanacci di Tonara, quasi al pari del torrone, sono conosciuti in tutta l’isola. Dopodiché comincia la sfilata del gruppi folkloristici, provenienti da varie zone della Sardegna. Nel frattempo in altre vie del paese si può assistere alla preparazione dei dolci della zona, oppure dei formaggi, de su ticchi e su crivàrgiu, i pani locali, o addirittura dei saponi fatti in casa. Si possono incontrare donne che mostrano il lavoro al telaio, si possono assaggiare i prodotti tipici e degustare gli eccellenti vini del Mandrolisai. E poi ammirare ancora le botteghe dei produttori di campanacci , tra i più abili nel costruire questi oggetti metallici tintinnanti. E, chiaramente, si può mangiare torrone in grandi quantità. Assaggiarlo appena fatto, ancora caldo, è un’esperienza culinaria da provare assolutamente.

 Da “101 cose da fare in Sardegna almeno una volta nella vita” di Gianmichele Lisai

Photo Credit © Franco Putzu