Il 30 Gennaio 2000 Rai Tre mandò in onda un servizio su Villacidro, il cui oggetto fu ripreso nei giorni seguenti da alcune riviste e quotidiani importanti: una leggenda affascinante decretava maledetto questo paese di quindicimila abitanti scarsi, perché infestato dalle streghe. Secondo un articolo dai toni medievaleggianti (comparso sul quotidiano La Repubblica) “un alto tasso di suicidi perpetua la leggenda e molti abitanti fanno ricorso costante a riti esorcisitici per difendersi”.

Is Cogas, questo il nome sardo delle temibili creature. Dotate di una piccola coda, che coprivano con larghe gonne per non essere scoperte, erano di natura maligna. Si trasformavano in insetti, in uccelli notturni o in piccoli animali, per entrare, una volta calato il buio, nelle case che portavano, appesi alle porte, i fiocchi colorati delle fresche nascite, e succhiare il sangue ai bambini, specialmente a quelli non ancora battezzati.

Nonostante il nome al femminile (Cogas), potevano essere anche di sesso maschile. Spesso normali nelle sembianze, erano difficili da riconoscere.

Le gente si rifugiava quindi nella preghiera, in cerca di una difesa spirituale da questi esseri demoniaci, o si affidava a specifici rituali per tenerli lontani, e dal momento che le streghe erano solite trasformarsi in mosche e mosconi, a Villacidro regnava una strana controtendenza per cui i ragni erano particolarmente apprezzati.

Prima di un parto, per il timore che il nascituro potesse diventare strega, sotto il letto della donna in travaglio si usava mettere un treppiedi per il fuoco, oggetto ritenuto in grado di tenere lontano il male.

Ma il vero antidoto contro le streghe era considerato Sisinnio, il santo dei villacidresi. Si racconta che durante la sua festa (della durata di quattro giorni) non si vedeva, in senso letterale, volare una mosca.

Sull’argomento sono stati ritrovati anche numerosi documenti ufficiali, in cui la leggenda spesso si trasfigura in dramma. Tra le condannate dell’Inquisizione spagnola, in Sardegna nel diciassettesimo secolo, compaiono sette presunte streghe villacidresi. Altre cinque donne del paese furono imprigionate nel 1674 poiché accusate di ricorrere a superstizioni. Tre di queste erano inoltre ritenute responsabili della morte di alcuni neonati.

Nel secolo successivo (1744), l’Arcivescovo di Cagliari, Monsignor Falletti, consegnò una relazione alla Santa Sede, nella quale dava conto dell’esistenza di certe pratiche diffuse nel paese: “[…] Informo inoltre le Vostre Eminenze che, per estirpare nella località di Villacidro della mia diocesi l’abuso delle superstizioni e dei sortilegi che furono abitualmente praticati in continuazione soprattutto da parte di donne degli strati più bassi della popolazione che esercitavano in segreto l’arte delle streghe a fine di lucro, ho ritenuto proprio della mia pastorale sollecitudine curare la fondazione della Congregazione di San Filippo Neri nella suddetta località di Villacidro. Tale Congregazione verrà fondata quanto prima, con l’aiuto di Dio, da alcuni sacerdoti secolari di questa città dediti alla salute delle anime e alla predicazione, secondo le regole di questo istituto, e molto graditi al popolo. Da ciò spero che il predetto abuso delle superstizioni (che i miei predecessori non riuscirono a togliere, nonostante tutto il rigore della giustizia, e neppure io) venga a poco a poco sradicato dai detti operai e dai loro compagni […]”.

Non saprei dire se ci fosse davvero qualcosa da sradicare allora, o se a Villacidro si abusava di certe pratiche più che altrove. Certo, oggi parlare di streghe in modo serio farebbe sorridere la maggior parte delle persone. Ma in fondo si tratta solo di storie, più o meno documentate, di superstizioni del passato e di antiche leggende. Per cui ognuno pensi pure in libertà ciò che crede.

Io, in libertà, credo che Villacidro sia un paese benedetto dalla penna del suo figlio più illustre: lo scrittore Giuseppe Dessì, vincitore del Premio Strega nel 1972, che ha descritto questo pezzo di Sardegna come nessuno mai.

 

Da “101 cose da fare in Sardegna almeno una volta nella vita” di Gianmichele Lisai