L’artista te lo immagini così: capelli che non riescono a essere disciplinati, aria assente, e uno sguardo in perenne affanno a cercare di scrutare tutto intorno. Mentre negli occhi sfreccia quel tormento che non si può risolvere, ma con quell’incanto di chi li ha appena aperti. A momenti placido come il mare il mattino presto, ma, come il mare, che un momento dopo con un refolo di vento fa appena increspare.

La voce è musicale, con le consonanti che riverberano nelle “enne” e nelle “elle” con uno scampanellio aggraziato; è facile per lui che è educato al bel canto.

Lo incontriamo virtualmente nel fondo di una serata afosa di questo agosto che ci stritola di caldo. Ma le sue risposte tracciano una via nel fresco, nelle sensazioni, nell’anima. Leggetele con attenzione, e soprattutto, fatele leggere ai giovani. Sono illuminanti, sono amore e rispetto per la musica, per la scrittura e per l’arte.

Una ricchissima figura artistica, con tanti premi e riconoscimenti anche internazionali, che si concede senza reticenze, e anche questa è già una bella lezione.

Artista, cantante, compositore, poeta, scrittore, professore e preside di scuola, psicologo molto affermato, e cultore dell’algherese. Però è e rimane uno di noi, grande, senza volerlo sembrare, ma con risposte da artista sempre incantato.

Grazie Antonello Colledanchise, ci vedremo presto per parlare delle tue nuove opere.

Comporre la musica, secondo me, non è umano! Credo che sia un qualcosa di sovrannaturale: come conoscere il segreto per entrare in una quarta dimensione, che solo pochi possono, perché solo pochi ne hanno il dono. Ma la musica è anche regole, matematica; o, al contrario, la musica è libertà assoluta, il suono che si può sognare? Allora ti chiedo, una musica come la tua, che sa dialogare con l’anima, è tecnica come una rotta da tracciare col sestante, o è spazio libero in mare aperto con solo le stelle per orientarsi?

Un tempo ritenevo la musica un corollario per i miei testi. Per me le parole erano più importanti, per cui gli arrangiamenti sono sempre stati un semplice accompagnamento. Poi con alcuni amici musicisti abbiamo provato arrangiamenti sempre più complessi. In questi casi la musica esigeva il diritto di stare in prima fila e di poter comunicare alla pari dei testi poetici. 

Ma poi, l’ispirazione, le note, come vengono a trovarti? Ti arrivano tra testa e cuore all’improvviso, oppure hai una metodica per sintonizzarti sulle ambientazioni musicali che componi? Cioè hai un luogo magico dove ti ritrovi?

La musica viene a trovarmi all’improvviso, in genere la registro per ricordarla. Spesso nasce anche una bozza di testo, che poi, in un secondo momento, correggo e adatto alla metrica musicale.

In questi tuoi momenti di creazione che rapporto hai con il silenzio? La musica che componi lo riempie, lo evita, lo suggella, oppure semplicemente lo eleva?

In genere la mia musica nasce dal silenzio. La musica è il silenzio che si rivela e che ci parla.

Alghero, per quello che vedo dalla tua biografia, è la tua vita, la tua forza espressiva, il tuo mare. Antonello musicista e il mare: raccontaci. Il mare è sentimento, sogno, fuga, liquido amniotico, ma è anche suoni. Senti delle contaminazioni? Le esprimi, o le domi?

Alghero pervade la mia anima attraverso il mare, non per forza come elemento materiale. Io ho col mare un rapporto soprattutto spirituale; è orizzonte, è limite senza confini: questo mare, che mi scorre nelle vene, spesso così appare in alcuni miei testi poetici.

In privato una volta mi hai detto che l’aspetto letterario è fondatale, o forse preponderante, nelle tue opere. Sarei molto tentato di chiederti se ti senti più musicista, poeta o scrittore. Ma non lo vogliamo sapere perché forse ci risponderesti che ti senti soprattutto Antonello: ispirazione, creazione, magia, visione; le metteresti in quest’ordine?

Troverei difficoltà a dividere l’ispirazione in capitoli da mettere in ordine. Diciamo che l’Ispirazione è una Visione Magica che mi porta a creare: e vedo nascere un testo e una musica che, appena composti, guardo con meraviglia, quasi non li avessi composti io. E già non mi appartengono. Sono nati per correre nel mondo, tra la gente.

Un poeta vivente, pluripremiato per le sue opere in lingua sarda, una volta mi ha detto che la poesia deve rispettare una sua musicalità, nei versi, nei suoni e nei ritmi. Sei d’accordo? E quindi le tue canzoni fantastiche hanno una loro ambientazione musicale già nel testo? Oppure sei un artista anarchico (e dal tuo sguardo irrequieto lo direi) e i tuoi pezzi sgorgano tutti insieme con note, parole, colori disordinatamente folli che impattano sulle emozioni come un ariete?

I miei testi, nella maggior parte dei casi, nascono per adattarsi ad una struttura musicale preesistente, quindi per essere cantati. Ma, d’accordo col poeta che citi, penso che anche nella poesia il verso segua una sua musicalità, nel ritmo, nel suono, e questo si può notare nella scelta delle parole. Non basta scrivere un sinonimo qualsiasi: deve essere proprio quella parola con quella musica e quella sonorità espressiva che un altro sinonimo non possiede.

Adoro l’algherese, come lingua, musicale, aggraziata di consonanti scivolose, nemica di suoni duri e ostili, scorrevole dolcemente come una canoa sull’acqua. Tu questa analisi non la puoi fare, perché è dentro di te, miscelata nella tua anima; e io credo non riuscirai mai ad averne un distacco razionale per raffigurartela. E visto che scrivi sia in algherese che in italiano, ti chiedo, ma tu in quale lingua pensi?

Io nasco bilingue: Alghero e l’algherese vengono da mia madre, l’italiano da mio padre. E queste due anime convivono da sempre dentro di me. Devo dire che lavoro, studi e società hanno impegnato di più la mia vita per mezzo della lingua italiana. Così, per esempio, quando facevo il Dirigente dei Licei: anche se mi capitava con alcuni dipendenti di parlare solo in algherese. E anche ora che mi occupo di Psicoterapia, mi è capitato di fare alcune sedute in algherese: ricordo il caso di una anziana signora che non parlava in italiano. Eppure ancora oggi con alcuni amici -purtroppo sempre meno- parlo solo in algherese. Devo dire che, quando l’ispirazione mi viene in algherese, penso e scrivo in algherese. Quando penso in italiano scrivo in italiano. Nell’arte dello scrivere, però, oggi prevale l’algherese.

Hai avuto tantissimi riconoscimenti e premi, anche internazionali, davvero prestigiosi. Ti chiedo che impatto hanno su di te? Sono una conferma delle grandi capacità espressive, una conferma di cui ti nutri? Oppure non vacilli mai perché sai già che ci sei?

Partecipo sempre meno ai Concorsi. Quand’ero più giovane mi dava maggiore entusiasmo vincere un premio di Poesia o di Musica. Oggi l’entusiasmo maggiore ce l’ho quando il pezzo che ho scritto rappresenta ciò che volevo esprimere. E questo non sempre sarebbe apprezzabile da una giuria. Ogni Giuria ha dei parametri di valutazione e vince il brano che più si avvicina a questi. Cambiando i parametri cambia il vincitore. A livelli più alti, le cose non cambiano molto, anzi mi sembra di capire che influiscano anche altri interessi (editoriali, commerciali, etc.). A me è capitato di aver vinto con tante Giurie diverse. Ma la gratificazione maggiore la provo quando ciò che ho scritto rappresenta ciò che volevo esprimere in quel momento.

“Come se ne vola il tempo” (aiutami se non ho tradotto bene), è il titolo in algherese della tua ultima grandiosa, secondo pubblico e critica, opera. Più che un titolo sembra un richiamo diretto all’anima, un’esclamazione estrema tra ottimismo duramente conquistato, e quella venatura di nostalgia che non ti ha mai abbandonato. Complimenti anche per questo, so che ti starai scomponendo sulla sedia perché non gradisci tanti apprezzamenti. Però raccontaci dell’amore e del sogno che hai messo dentro questo progetto.

“Com se’n vola lo temps” è la canzone che dà il titolo all’album. Esprime la sensazione del tempo che passa attraverso il confronto tra i ricordi di come eri e di come sei oggi. Il tempo che inesorabile passa e che nessuno può fermare. Nel cd ci sono canzoni riflessive su tematiche sociali (come Casa amb a vista, La cardenera és morta, La cançó del drogat, Salvem L’Alguer, Març 1821), alcune satiriche (S. Francesc i S. Antoni, Carraixali a L’Alguer), altre introspettive (La porta, La cadernera és morta, A una nuvola, Com se’n vola lo temps). Ci sono anche due canti popolari antichi: Agadeta, che Pasquale Scanu data nel primo periodo catalano, e Deus ti salvet Maria, l’Ave Maria tradizionale sarda. Mi si dice che alcuni testi appaiano particolarmente ermetici, come ad esempio La porta, una canzone per certi versi impenetrabile. Ma io credo che sia proprio questa impenetrabilità la loro forza poetica.

Antonello, ti auguriamo sempre un buon vento, e ti ringraziamo per esserti lasciato bonariamente maltrattare dalle nostre domande.

PIER BRUNO COSSO