*Di Elisabetta Crisponi

Ghilarza è un bocciolo di macchia mediterranea che si getta nella Valle del Tirso. I suoi boschi hanno ascoltato preghiere bizantine, visto spade romane, scrutato merce fenicia, protetto l’uomo nuragico e conversato con quello prenuragico. Però, non solo per la sua storia, ma anche per quella di Antonio Gramsci, suo illustre figlio, Ghilarza è nota nella scena isolana. È risaputo che, anche dopo aver lasciato la Sardegna e durante la prigionia, Gramsci ritorna continuamente col cuore nella casa paterna tramite le sue lettere. Oggi, nello stesso luogo, troviamo un ragazzo legato ad Antonio Gramsci in modo indissolubile. 

Piero Onida, 32 anni, a Ghilarza ci è nato e cresciuto. Dopo aver frequentato il Liceo Linguistico si è iscritto in Scienze Politiche all’Università di Cagliari. Il suo percorso universitario è stato accompagnato da quella che lui definisce «un’esperienza meravigliosa» a Casa Gramsci, la Casa museo di Antonio Gramsci che si trova nel centro storico di Ghilarza.

Come sei arrivato a Casa Gramsci? «Tramite la candidatura per un tirocinio. Nel 2009 cercavano personale per aprire con più frequenza, organizzare visite guidate e riordinare la biblioteca. Mi presero, e iniziai a leggere e studiare. Alla base della mia preparazione c’è stato il libro Vita di Antonio Gramsci di Giuseppe Fiori, una figura molto importante, insieme ai nipoti e alla sorella di Gramsci, per la casa museo».

Come ricordi quegli anni? «Come un momento in cui il contatto con le persone, e le loro domande, mi spingevano ad andare più a fondo. L’ho vissuto come un periodo in cui volevo scuotere un po’ le acque, invitare la gente al dialogo. Si organizzavano eventi culturali bellissimi, non solo per parlare di Gramsci a livello museale, ma dando voce alla contemporaneità del suo messaggio. Si parlava di cittadinanza attiva, subalternità attuali, cultura e tematiche odierne, riscontrando grande partecipazione. Uno dei temi più dibattuti è stato quello dell’ eutanasia, e infatti abbiamo avuto ospite Beppino Englaro per ben tre volte».

Vuoi ricordare qualche episodio a cui sei legato in particolare? «Sicuramente quando un docente universitario di Barcellona, che stava facendo una ricerca sugli studi di Gramsci sulla Divina Commedia, durante la visita guidata ha scorto il volumetto dell’opera appartenuta a Gramsci e si è commosso fino alle lacrime. Oppure quando sono stato intervistato per sei ore da Ichiro Obase, professore giapponese, per il suo A Short report on the House Museum of Antonio Gramsci».

Tutto questo ha senza dubbio influenzato i tuoi studi. «Assolutamente sì. La mia prima tesi, del 2013, si intitola “Gramsci nel dibattito politico arabo”: una ricerca su Gramsci nei Paesi nordafricani. Nel 2016, per la mia laurea magistrale, scrissi la mia seconda tesi “Ai margini dell’impero”».

Di cosa si tratta? «Nel Quaderno n. 25 Ai margini della storia Gramsci parla della storia come narrazione delle classi dominanti, che lascia i subalterni ai margini, privi di vera narrazione. Io ho fatto un’analisi delle voci subalterne dell’Africa orientale italiana, soprattutto della società etiope ed eritrea, durante il colonialismo. Ma poi ho riportato questi concetti anche in realtà contemporanee».

Per esempio? «Nel 2015 ho svolto un tirocinio di tre mesi alla Camera di Commercio Italiana in Qatar. Ho osservato le condizioni dei lavoratori, soprattutto indiani, nepalesi o abitanti del Bangladesh, catapultati in una società distopica da agenzie per il lavoro che li confinano nel deserto in condizioni di schiavitù. Queste persone mandano il salario alle proprie famiglie e per loro non è sempre possibile tornare a casa: nel contratto il permesso d’uscita dal Qatar è subordinato al datore di lavoro. Me ne andai scioccato, ma intenzionato a ritornare per fare ricerca, e con un progetto già definito».

E cosa ne è stato? «Purtroppo non ho avuto modo di portare avanti la mia idea. Mi sono ritrovato a vivere la classica crisi da “millennial” sardo. Il pensiero egemone sostiene che se stai in Sardegna sei destinato al precariato, quindi realtà e narrazione ci hanno voluto come una nuova generazione in una terra senza futuro. Non volevo sentirmi fermo, volevo far parte di qualcosa di importante. Così, nel 2017, ho iniziato a mandare curriculum in tutta Europa, e adesso mi trovo in Repubblica Ceca. Sono molto soddisfatto, ma senza questa ansia per il futuro non avrei fatto questa scelta».

Vorresti tornare in Sardegna? Quali sono le tue prospettive? «L’idea del luogo fisico non è molto importante, prima bisogna essere fermi nei propri luoghi mentali, essere la migliore versione di se stessi. Non ho in questo momento aspettative enormi, posso stare bene qui fino a quando la situazione economica lo permette».

Piero Onida assieme ad Englaro - Museo Gramsci

Continui a guardare l’epoca che vivi con occhi gramsciani? «Mi sento un giovane dentro la Storia, in un’epoca in cui è radicata l’ egemonia culturale del pensiero liberale generalizzato. Vedo persone che fanno un’ enorme fatica a sentirsi realizzate, non hanno pace mentale e sono costantemente esposte alla competizione. C’è  un’ estrema manifestazione e glorificazione di successo, fascino, ricchezza e fama. I Social Media ci stanno facendo vivere in maniera diversa dalle altre generazioni, siamo sempre in mostra mentre osserviamo gli altri. Tutto questo condiziona le scelte di vita in varie sfere e ci ha portati ad un’ immane insoddisfazione. Ciò che ci sta attanagliando è questo costante volere e, di conseguenza, voler apparire. Anche una figura come Gramsci ha subito la narrazione mediatica, è stata trasformato in qualcosa da studiare sui libri a livello del passato, un martire di epoca fascista chiuso nel museo. La connessione interpersonale di cui Gramsci parla riguarda l’essere umano che conosce se stesso attraverso gli altri e gli altri attraverso se stesso, in uno scambio di coscienza e presenza reale nel mondo storicizzato. L’impulso vitale non è altro che la propria volontà, che genera consapevolezza e porta all’azione. In realtà ciò che lui dice è talmente attuale da accecarci».

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*ELISABETTA CRISPONI

Nasce a Nuoro e cresce a Lodine, nell’entroterra nuorese. Si trasferisce a Milano nel 2012 dove intraprende gli studi nel campo della Comunicazione. Giornalista pubblicista, addetto stampa e blogger, ha collaborato con testate sarde e con Africa Express, occupandosi principalmente di cronaca, cultura, attualità e spettacolo. Ha redatto la rubrica cinematografica “Cineonda” per il settimanale nuorese L’Ortobene, e porta avanti la rubrica “I viaggi di Gulliver”, approfondimento storico-sociale sui temi di emigrazione e istruzione, per il blog A Porte Schiuse. Collabora con l’associazione Malik, gestendo la comunicazione di progetti europei.


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