Per secoli la lingua sarda è stata oggetto di leggi, rime poetiche, scritti e funzioni ecclesiastiche. In epoca contemporanea è tuttavia solo nel 1982 che prende corpo quello che sarà il primo romanzo in sardo. E il suo autore sarà Larentu Pusceddu, classe 1947, recentemente scomparso. A cavallo tra il genere drammatico e la poetica, “S'arvore de sos tzinesos” rappresentò una vera e propria scommessa editoriale. L'opera infatti, pionieristica per i suoi tempi, venne portata avanti dalla Editziones de sa Nae di Eligio Fronteddu, all'epoca basata a Nuoro e stampata presso la tipografia dei fratelli Ghiani di Isili con un prezzo al pubblico di 8.000 lire. La copertina, che apriva un testo di 184 pagine, venne firmata da Francesco Del Casino.

 

La pubblicazione affrontò per la prima volta in modo pratico il tema della standardizzazione del sardo, con una soluzione provvisoria affidata alla cura di Diegu Corraine in materia di revisione linguistica e ortografica. La struttura presentava dunque tutti i canoni di un lavoro articolato, ben distante dagli scritti di vari autori degli anni Settanta ed in particolare dal breve racconto di Giulio Angioni del 1978, “Arricheteddu”.

Ma di cosa parlava esattamente? Ambientata a partire dal 1905, la trama di Pusceddu si snoda nell'epopea di una serie di personaggi situati presso “Oreos”, un cosmo immaginario, simbolo di una Sardegna rurale dove le contraddizioni popolari ed i difficili rapporti col potere porteranno Antiocu, il protagonista, dapprima verso una disavventura sentimentale, in seguito alla marginalità economica, per poi condurlo sul binario dell'emigrazione, dove il destino lo guiderà di fronte all'albero “dei cinesi”, metafora della morte. E in fin dei conti, del difficile contesto attraversato dall'isola per tutto il Novecento. Dalle guerre alle successive e tradite speranze di rinascita.

Ancora oggi si tratta di un'opera dalla forte tensione simbolica e politica. E forse proprio per questo ignorata ed avversata fin dal suo esordio, capace di inoltrare una moderna letteratura in lingua sarda verso quegli ambienti urbani da cui era sempre rimasta estranea.

La cultura mainstream in lingua italiana dell'isola, che affonda in nobili radici come quelle di Grazia Deledda, non ha tuttavia saputo produrre un ambiente accademico e letterario in grado di valorizzare il rinascimento linguistico del sardo, guardato sempre con sospetto, nel timore di dare corpo ad una nuova generazione di valenti scrittori che, seppur minoritari, non sono comunque mancati. Basti pensare alle opere di Gianfranco Pintore. E persino all'emersione del sardo nella realizzazione di scritti scientifici.

Autori come Larentu Pusceddu, che avrebbero meritato maggiori spazi presso scuole e festival letterari, sono divenuti noti solo ad una platea specialistica. Un contesto in cui le istituzioni riversavano un fiume di denaro pubblico per alimentare altisonanti circuiti culturali che hanno palesemente ignorato la produzione in lingua madre della nostra isola.

I Comuni in cui nacque e visse Pusceddu, pensiamo ad Orotelli, Nuoro e Siniscola, in attesa di un rilancio della sua opera, potrebbero valorizzarne la memoria, ad esempio tramite l'apposizione di una targa o l'intitolazione di una strada, magari in sostituzione di quelle sabaude.

Pensiamoci.

 

*Fondatore del think tank Sa Natzione e autore del libro “L'indipendentismo sardo” (Cagliari, Condaghes).