Classe 1986, radici sassaresi e vita a Torino, Giuseppe Garau è uno dei più interessanti registi di nuova generazione. L’abbiamo incontrato per raccontare la sua attività a partire dal suo primo lavoro, "Brevi storie sulla Torres", documentario presentato nell'inverno 2014 al Teatro Verdi di Sassari e premiato con il Guirlande d'Honneur, il premio internazionale più ambito per un documentario sportivo.

La pellicola, che celebrava i centoundici anni alla storica società della Torres, nata a Sassari nel 1903 come Società per l’Educazione Fisica Torres è stata premiata lo scorso 2014 nella sezione Sport & Society del premio di portata internazionale organizzato dalla FICTS (Federation International Cinema Television Sportifs).

Il lavoro è un insieme di storie nella storia: come quelle del pugile Gavino Matta, del velocista Tonino Siddi e del calciatore Marzio Lepri che riemergono dalla scatola dei ricordi degli eroi sportivi di un bimbo, Piero Piana per raccontarci di un tempo distante ma ancora vivo nella memoria storica sarda.

Un altro calcio, un altro sport, fatto di record e di evoluzioni, di medaglie e corse contro i cavalli (come accadde nella gara, storica, a Sassari, che vide protagonista un velocissimo Siddi). Un grande successo, quello ottenuto nel suo esordio da Garau che gli ha valso la partecipazione al David di Donatello e una costante evoluzione. Ancora lo sport è protagonista del suo secondo documentario "Una storia semplice", del 2016, sulla vita di Annarita Sidoti, marciatrice siciliana, vincitore del premio come Miglior Documentario all'Overtime Festival.

Autore di altri due cortometraggi, “Glasses” (2015) e “Sette pizze” (2017), Garau è un fiume in piena di idee e precisione stilistica, pronto a lasciare un segno importante nel panorama dei filmaker indipendenti italiani.

Brevi storie sulla Torres, racconta un altro calcio, un altro sport, fatto di record e di evoluzioni, di medaglie e corse contro i cavalli ma anche di sfide con se stessi, per far emergere il proprio valore con tutta la sua dirompenza. 

 

Come nasce l'idea di un film sulla Torres?

Maturavo da tempo l’idea di passare alla regia, ma per farlo sentivo di dover parlare di qualcosa che conoscevo bene: la mia città e la mia squadra del cuore. Voleva essere un film destinato solo alla comunità nella quale mi sono formato, anche se poi le storie che abbiamo raccontato si sono rivelate più universali di quanto credessi.

A quale delle storie del film “Brevi storie sulla Torres” sei più affezionato? Quale ti ha colpito di più?

Quella del pugile sassarese Gavino Matta, medaglia d’argento – con un oro negato all’ultimo - alle Olimpiadi di Berlino del 1936: si allenava e lavorava, cercando di stare sempre vicino al forno del pane per riuscire a sudare il più possibile e mantenere il giusto peso per poter partecipare alla gara… circostanze ora impensabili!

Come è iniziato il tuo lavoro come regista? 

A 20 anni ho iniziato a lavorare come montatore, prima su progetti commerciali, poi su piccoli esperimenti narrativi. A un certo punto ho sentito l’urgenza di raccontare delle storie attraverso l’audiovisivo, non volevo più soltanto montare ma anche decidere come e cosa riprendere. Ho esordito alla regia nel 2013 proprio con “Brevi storie sulla Torres” e forse anche per questo è un lavoro al quale tutt’ora sono profondamente legato.

Vivi a Torino ma con la Sardegna nel cuore. Come ti trovi nel capoluogo piemontese? Frequenti altri sassaresi?

Torino è una città nella quale ognuno si crea la propria rete e i suoi ritmi, molto di più rispetto a Milano e Roma, e credo di avere trovato qui la mia dimensione. C’è una buona offerta culturale anche se negli ultimi anni sembra un po’ contratta. Vivo in un quartiere popolare abbastanza vivace, l’unica cosa che patisco davvero tanto è l’inquinamento. La maggior parte dei sassaresi che ho frequentato qui a Torino sono andati via e per loro è stata una città solo di passaggio, mentre io ho una famiglia qui e non prevedo di spostarmi, anche se il pensiero di ritornare un giorno a vivere in Sardegna è sempre presente: seguo quotidianamente le vicende sportive della Torres, è il mio cordone ombelicale con l’isola.

Il tuo stile è fortemente contraddistinto dalla capacità di ricostruire una storia collettiva attraverso la narrazione di vicende sportive personali. Che cosa significa per te aver scelto questo tipo di tecnica narrativa?

È una cosa che mi piace moltissimo, in qualche modo raccogli queste testimonianze e poi attraverso il montaggio gli dai una forma, cerchi di restituire le emozioni che hai provato al pubblico e alla fine del percorso hai “fotografato” un ricordo che durerà per sempre. È una bella sensazione.

Quale sarà il tuo prossimo lavoro?

Attualmente stiamo per finire le riprese di due documentari sportivi, uno sulla nazionale del San Marino e uno sulla storia umana e sportiva di Fabio Quagliarella, un grande campione che l’anno scorso ha realizzato una stagione strepitosa ma con una vicenda difficile alle spalle.

Come documentarista, quali altre storie legate alla Sardegna ti piacerebbe raccontare?

Non ho altre storie legate alla Sardegna in mente al momento. L’ispirazione è un processo strano, a volte mi sembra che siano le storie a trovare me e non il contrario. Sono sicuro però che il mio lavoro e la mia terra si incontreranno di nuovo, prima o poi.

Che cosa consiglieresti un ventenne sardo che sta pensando di lasciare l’isola?

Lasciare la propria casa è una esperienza sempre formativa, ti fa vedere le cose da un’altra prospettiva ed è una buona occasione per conoscere se stessi. Forse sono molto nostalgico, ma credo che non avrai mai amato la tua città come quando l’avrai lasciata e quando ritornerai ogni piccola cosa avrà ai tuoi occhi un significato diverso.

 

 Segui Giuseppe Garau su: http://www.giuseppegarau.com

Ph.Intro: @Umberto Costamagna da giuseppegarau.com

 

 

Alessandro Delfiore