Imprenditori, artisti, rappresentanti delle istituzioni, professori universitari, giornalisti e tanti altri ancora. Sono diverse le personalità che anche nel 2014 hanno continuato a confrontarsi con noi al fine di fare chiarezza e approfondire i diversi temi di volta in volta trattati nella nostra rubrica “10 domande a…”. Ognuno di loro costituisce, per la Sardegna, un’autorevole espressione del settore che rappresenta. Non è stato per niente facile scegliere solo alcune delle risposte ricevute al fine di riproporre, in un’intervista virtuale, i temi ed i concetti che, a nostro avviso, hanno assunto maggiore rilevanza in questo particolare frangente storico, politico ed economico. L’auspicio è che dalle loro risposte possa maturare un dialogo capace di suscitare, nei nostri lettori, un maggiore interesse nei confronti dei temi socio-politici della Sardegna.

Partiamo

1.  Da centro del Mediterraneo a periferia d’Europa. Come è cambiato, con il trascorrere del tempo, il ruolo strategico e logistico della nostra Isola e quali sono, a suo avviso, le prospettive per il futuro?

La geografia e la politica. Se sulla prima non si discute (al centro del Mediterraneo resteremo), sulla seconda invece le responsabilità sono di duplice matrice. Una locale e una nazionale italiana. La prima rileva del fatto che la classe politica ultimamente non si è mai preoccupata di quanto sta attorno all’Isola, sempre presa a cercare il contatto con Roma o al limite Bruxelles, ma poco con le realtà mediterranee circostanti, non solo quelle africane: abbiamo la Catalogna e non ci parliamo neppure, la Corsica, la sponda sud della Francia ecc..; a questo è legato il ruolo dello Stato che non consente alla Regione una sua “politica estera”. Questi sono i due ambiti su cui agire per una prospettiva futura.

Carlo Pala

Politologo e Docente Università degli Studi di Sassari

https://www.focusardegna.com/index.php/attualita/10-domande-a/291-10-domande-a-carlo-pala

 

2.  Chi sono i nemici della lingua sarda?

Gli apparati e le articolazioni dello Stato. I Partiti politici e i grandi Sindacati italiani. Ma soprattutto la Scuola italiana in Sardegna. Che fin dall’Unità d’Italia – per non risalire ancora più indietro – ha sempre espunto dai programmi qualunque elemento “locale”, in primis la lingua sarda. Tesa com’era a un processo e progetto di omogeneizzazione culturale e linguistica. Tale concezione la ritroviamo pari pari nelle Leggi sull’istruzione elementare obbligatoria nell’Italia post unitaria.. I cui programmi scolastici sono impostati secondo una logica rigidamente nazional-statale o statalista che di si voglia e italo centrica e sono finalizzati a creare una coscienza “ unitaria “, uno spirito “nazionale“, capace di superare i limiti – così si pensava – di una realtà politico-sociale estremamente composita sul piano storico, linguistico e culturale. Questo paradigma fu enfatizzato nel periodo fascista, con l’operazione della “nazionalizzazione” dell’intera storia italiana. L’idiosincrasia – uso volutamente un termine eufemistico – nei confronti di tutto ciò che è Sardo, e in modo particolare della lingua, continuerà comunque anche nel dopoguerra. Nel 1955,nei programmi elementari elaborati dalla Commissione Medici si introduce l’esplicito divieto per i maestri di rivolgersi agli scolari in “dialetto”. E in tempi a noi più vicini, con una nota riservata del Ministero – regnante Malfatti – del 13-2-1976 si sollecitano Presidi e Direttori Didattici a “ controllare eventuali attività didattiche- culturali riguardanti l’introduzione della lingua sarda nelle scuole”. Una precedente nota riservata dello stesso anno del 23-1 della Presidenza del Consiglio dei Ministri aveva addirittura invitato i capi d’Istituto a “ schedare “ gli insegnanti. E non si tratta di “pregiudizi“ presenti solo negli apparati statali e ministeriali romani: il segretario provinciale di un Partito politico, allora ferocemente centralistico, sia pure di un “centralismo democratico“, invitava, con una circolare spedita a tutte le sezioni, di non aderire, anzi di boicottare la raccolta di firme per la Proposta di legge di iniziativa popolare sul Bilinguismo perché “ separatista “ e attentatrice all’Unità della Nazione! 
Oggi qualcosa inizia a cambiare: anche a livello giuridico e istituzionale. Per esempio con l’approvazione della Legge regionale n. 26 del 15 Ottobre 1997 su Promozione e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna, della Legge nazionale n. 482 del 15- Dicembre1999 sulle Minoranze linguistiche e della a Carta Europea per le Lingue Regionali e Minoritarie. Ma siamo ancora agli inizi.

Francesco Casula

Esperto di Lingua Sarda

https://www.focusardegna.com/index.php/attualita/10-domande-a/401-10-domande-a-francesco-casula 

 

3.  Qual è la sua idea di sviluppo per la Sardegna e quali settori crede debbano essere necessariamente incentivati?

L’agricoltura, i servizi alla persona, il turismo che valorizza il territorio tutto l’anno, le attività che creano prodotti immateriali e la produzione di know how. Siamo una terra dalle mille prospettive ma sino ad ora non abbiamo trovato i mezzi per sfruttarle a pieno. Il mondo che avremo davanti nel futuro prossimo supererà i 9 miliardi di persone e vedrà crescere le elitès dei Paesi extraeuropei. Il cibo di qualità e il territorio incontaminato avrà più valore domani di quando lo abbia avuto ieri. Su quello dovremo investire seriamente.

 Francesco Agus

Consigliere Regione Sardegna

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4.  A parte le rinomate diseconomicità come l’insularità e la debole domanda interna, quali sono, a suo avviso, le principali debolezze del sistema economico sardo?

La principale debolezza del nostro sistema economico risiede ancora una volta nella nostra mente, ovvero nella nostra tendenza a concentrarci sempre sui problemi e mai sulla ricerca attiva di soluzioni. Purtroppo per troppo tempo abbiamo aspettato il nostro deus ex machina, poco importa che fosse lo Stato Italiano, le aziende e i capitali esteri o chissà chi altro, siamo stati per 60 lunghi anni vittime di un incanto, fermi sull’uscio, immobili, ad attendere che qualcuno arrivasse dall’esterno a risolvere tutti i nostri problemi. E’ giunto il momento per i Sardi di essere i fautori della propria fortuna, di progettare e fare in maniera autonoma e di non avere timore di sbagliare. Potrà anche sembrarvi banale, ma è meglio imparare dai propri errori piuttosto che scontare gli errori commessi da altri. Secondo noi, nei prossimi anni  la vera sfida per l'economia sarda sarà quella di creare un modello di sviluppo che sia capace di trasformare quelle che generalmente vengono percepite come criticità o punti di debolezza, in punti di forza, in tratti peculiari su cui costruire un modello economico laterale che trovi la propria “blue ocean”. Questo naturalmente non significa non lavorare al miglioramento delle nostre infrastrutture materiali e immateriali, ma semplicemente che non possiamo pensare di progettare un modello di sviluppo che non sia capace di mettere al primo posto gli interessi ed il benessere della nostra Isola e che non metta sullo stesso piano economia e rispetto per l'ambiente e per le persone. Dobbiamo smettere di sforzarci di essere quello che non siamo e cominciare a capitalizzare l’immane valore che questa terra e questo popolo sono in grado di esprimere.

Carlo Mancosu

Ideatore e responsabile della comunicazione Sardex

https://www.focusardegna.com/index.php/attualita/10-domande-a/274-10-domande-a-carlo-mancosu

 

5. Quali sono le maggiori difficoltà riscontrate dalle imprese in Sardegna?

Gap manageriali, commerciali e di marketing, oltre la stranota incapacità di relazionarsi in stabili reti d'impresa. Questa è la ricorrente di tanti ambienti, non solo quello sardo, al pari della strutturale mancanza d'innovazione come processo aziendale permanente che purtroppo non viene avvertito come necessario. Non si trascuri che ad oggi la logistica ha ancora il suo peso in ogni piano industriale ad eccezione del digitale.

Nicola Pirina

Innovation Strategist

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6. L’accesso al credito ha rappresentato in Sardegna un elemento di forte criticità per le PMI che, con l’acuirsi della crisi economico-finanziaria, hanno visto un progressivo irrigidimento nelle relazioni con il sistema bancario, con una continua contrazione dell’erogazione del credito. In tutto questo quanto hanno influito i nuovi parametri imposti da Basilea III?

Moltissimo. E ciò ha avuto un effetto prociclico, cioè ha contribuito ad aggravare la crisi. Vedrei però anche gli aspetti di medio lungo termine, che sono positivi. Una gestione attenta e rigorosa del credito rappresenta un fattore positivo per l’economia. Le banche svolgono correttamente la loro funzione sociale se accompagnano le imprese meritevoli e scoraggiano quelle con scarse prospettive. A tal fine è importante anche che cresca a capacità degli operatori finanziari di valutare l’idea e il business. Un elemento di positività importante è che nel nostro paese le banche hanno il loro core business nell’attività di intermediazione, con un presidio della qualità del credito migliore che all’estero e con una scarsa incidenza della speculazione finanziaria. Per questo l’Italia è lo Stato europeo in cui vi è stato meno bisogno di un intervento pubblico per la gestione di crisi bancarie.

Paolo Porcu

Componente del cda della società Sardaleasing SPA, già direttore generale della Banca di Sassari e direttore controllo crediti al Banco di Sardegna

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7.  Come sta cambiando il panorama della Ricerca e Sviluppo in Italia e in Sardegna?

Evidentemente oggi c'è molta più attenzione al tema e ve ne sarà sempre di più. Fondamentale in questo processo è l'opera dell'Unione Europea, strategicamente impegnata a creare le condizioni per un'economia più competitiva a livello mondiale, puntando sulla crescita intelligente, sostenibile e solidale. Faccio riferimento alla “Strategia Europa 2020” la quale dispiega i suoi obbiettivi, tra gli altri, nei campi della occupazione, dell'innovazione e dell'istruzione. Nell’ambito di questa strategia l’Europa s'è posta come obiettivo di accrescere gli investimenti pubblici e privati nel campo della ricerca e dello sviluppo fino al 3% del PIL, mentre l'Italia quello di raggiungere nel 2020 l'1.53%, partendo dall’1.26%. Evidentemente il dato italiano rischia di essere tragicamente inadeguato se si vuol reggere la competitività dei partner europei, soprattutto di quelli che, sulla base del rendimento innovativo medio, vengono valutati come “Leader dell’innovazione” (Danimarca, Finlandia, Germania, Svezia). Questo livello di investimenti ci fa definire nel panorama europeo come “Innovatori moderati”, posizionandoci al livello di Paesi come la Croazia, la Grecia, il Portogallo e la Spagna.

Ketty Corona

Presidente Sardegna Ricerche         

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8. Quali capacità deve avere un giovane che vuole fare impresa?

Fare impresa oggi nel nostro territorio è qualcosa di eroico, e ancora più duro è per i giovani avviare una nuova attività. Non abbiamo uno Stato che aiuta come dovrebbe in questo senso. Non ci sono strumenti efficaci e incisivi che sostengano chi vuole fare impresa, come invece accade in altre realtà. Basti pensare alla scuola. I nostri giovani escono dagli istituti superiori con una discreta preparazione ma con poche abilità professionali. In altri paesi Europei vengono adottate diverse strategie e uno degli obiettivi principali della formazione delle nuove generazioni è quello di aiutarle nella scoperta della propria vocazione lavorativa e professionali. Pensiamo per esempio alla Germania dove è prevista l'alternanza scuola - lavoro e i ragazzi obbligatoriamente svolgono esperienza presso le aziende e non solo ore di studio in aula. Questo è un beneficio sia per i ragazzi, perché un giovane ha la possibilità di vedere come funziona un' impresa e viene dotato degli strumenti utili per scegliere la propria strada imprenditoriale, sia per le imprese che sono agevolate nella ricerca di giovani capaci e motivati da formare e introdurre nel proprio team. In Italia abbiamo una società caratterizzata da una mobilità bloccata che non mette in grado un giovane di rischiare e di emergere premiandone il merito e i talenti. Ecco perché sarebbe importantissimo sbloccare il sistema a iniziare dall'abbattimento delle tasse sul lavoro e sull'impresa. In ogni caso, nonostante queste difficoltà, un giovane ce la può fare come dimostrano i tanti esempi di giovani che, anche nei nostri territori, si mettono in gioco e ottengono brillanti risultati. Devi essere un po’ folle e visionario e capace di immaginare il domani. Certo, per creare un'impresa propria occorre lavorare tantissimo e duramente, credere in se stessi, puntare sulla conoscenza (tecnologica in primis), senza trascurare un aspetto che ritengo molto importante ossia avere la capacità di crearsi un network di relazioni, esigenza oggi fondamentale per raggiungere la propria meta.  

Roberto Bornioli

Presidente Confindustria Sardegna Centrale

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9.  Recita l’articolo 1 della Costituzione: “L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro[…]”. In virtù di una disoccupazione che sfiora il 13% e una Banca Centrale impegnata a contenere l’inflazione e non a favorire la crescita e l’occupazione, come invece fa la FED, non crede che l’Italia sia una Repubblica fondata su qualcos’altro?

Certamente il lavoro non si crea scrivendo regole costituzionali. Le regole servono a identificare il valore fondante della nostra Repubblica: il Lavoro. Da questo punto di vista è il Lavoro che deve indirizzare le politiche pubbliche e garantire che sia il Lavoro il valore sul quale giudicare la validità delle scelte economiche. In sintesi sarà il Lavoro a dover ispirare le politiche di soluzione di una crisi economica che appare ormai una crisi di sistema.

Gian Mario Demuro

Docente Università degli Studi di Cagliari e Assessore Regionale agli Affari Generali

https://www.focusardegna.com/index.php/attualita/10-domande-a/268-10-domande-a-gianmario-demuro

 

10. In Italia, la mancanza di un sistema meritocratico è molto più pervasiva di quanto non si creda e questa è probabilmente la causa principale dell’attuale situazione di declino sociale e di stallo economico. Nel suo libro Gli Italiani non sono pigri ha diffusamente trattato di questo argomento. Ci può spiegare quali sono gli elementi strutturali e culturali tali per cui non riusciamo a superare questa empasse?

Gli italiani, un po’ come gli arabi, sono un popolo tribale. Nel senso che anche noi, come loro, diamo molta importanza ai rapporti familiari e alle amicizie. Questi elementi, che talvolta acquisiscono maggiore importanza di tutto il resto, uniti ad una marginale fiducia nel sistema, inducono le persone ad aiutare parenti e amici in ogni modo. In sé questo è un atto di grande generosità ma allo stesso tempo è una piccola forma di nepotismo e quindi di ostacolo alla meritocrazia. Ci sono, poi, esempi più o meno scioccanti. Una cosa è dare l’opportunità ad un conoscente. Altra cosa è, invece, introdurre persone non meritevoli in posizioni strategiche solo perché hanno dei legami con la politica. Ma questo aiuto per la famiglia e conoscenti esiste perché lo Stato italiano non sostiene l'individuo come gli stati del Nord Europa. In Italia, la famiglia è spesso l’unica rete di sicurezza che si ha.Si è anche creata un’idea un po’ rosea di quella che è la meritocrazia. Viene vista solo come antidoto al nepotismo. In Italia non si parla mai delle sorelle gemelle della meritocrazia: Competizione ed Ambizione. Agli Italiani quelle parole suonano male. Sono viste come negative. Ma non può esistere meritocrazia senza vera competizione, e l’ambizione ti spinge a competere.

Barbara Serra

Conduttrice della redazione londinese di Al Jazeera English e scrittrice

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IL MESSAGGIO

Dico ai giovani di fare molta attenzione ai cambiamenti in atto. Di solito ai cambiamenti economici seguano a ruota cambiamenti di natura politico-sociale. Pertanto è fondamentale che la formazione sia adeguata ai tempi che vivete ed a quelli che in proiezione vivrete. E’ importante che investiate tempo e risorse nella preparazione sui settori emergenti; prestate la massima attenzione al mondo dell’impresa e seguitene le dinamiche perché e da quel mondo che verrà il vostro futuro lavoro! Inoltre sarà parimenti importante essere e restare consapevoli che non esisterà mai più, nella stragrande maggioranza dei casi, una ed un’unica professione per tutta la vita lavorativa. Siate duttili ai cambiamenti, pronti a mettervi sempre e comunque in gioco e per poter far questo siate “onnivori” del sapere, soprattutto di quello tecnico-scientifico!

Ketty Corona


 

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Autore dell'articolo
Simone Tatti
Author: Simone Tatti
Giornalista, data analyst e performance strategist per aziende, istituzioni e privati che hanno bisogno di implementare il proprio business e costruire un’immagine positiva mediante comunicazione tradizionale e digitale. Economista di formazione, con master in sviluppo territoriale e gestione d’impresa mi appassiono al mondo dei media dopo aver vinto il primo concorso universitario Heineken – Ichnusa in “Marketing e Comunicazione”. Scrivo con costanza da circa nove anni su testate giornalistiche off e online prediligendo la produzione di reportage e articoli di analisi statistico/economica. Per amore verso la mia terra, fondo www.focusardegna.com. Ho curato l’immagine e la comunicazione di progetti di destinazione turistica (i.e. Distretto Culturale del Nuorese e Sardinia East Land | destinazione globale Nuorese Ogliastra) e la gestione dei canali social di affermati mass media (Unione Sarda, Videolina e Radiolina). Di recente anche startupper.

Per sapere altro su me o quel che faccio, visita il mio sito www.simonetatti.it.

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