DI MARCELLO DERUDAS*

Donne del Cielo e della terra: luci sacre e ombre diaboliche nella Sardegna di fine Ottocento

La storia che stiamo per raccontare è ambientata nella cittadina di Ossi, alla fine del XIX secolo. Come in ogni paese della hispanidad che si rispetti, anche qui il culto alla Vergine Assunta (14 e 15 agosto) è sentitissimo.


Il rito della vestizione del simulacro della Vergine – assai sentito (tanto che ancora oggi in numerose località dell’Isola viene svolto nella discrezione più totale e con massima reverenza) – veniva compiuto ogni anno da alcune parrocchiane scelte dal rettore e coadiuvate dai viceparroci e da altri aiutanti. La sua origine in Sardegna risale al XVI secolo, quando alle prime “Vergini dormienti” totalmente in legno subentrarono dei manichini.

Alle donne prescelte per vestirli spettava il compito di preparare il simulacro per la festa e di ornare il baldacchino/catafalco con lenzuola, cuscini, veli e fiori (tutti presi dal prezioso ‘corredo privato’ di Maria nascosto ad occhi profani per tutto il resto dell’anno). Nonostante il clima di ‘sacro terrore’ che pervadeva il lavoro di vestizione e svestizione (dopo l’Ottava del 22 agosto), segno forse di un’ancestrale devozione del popolo sardo verso la sacralità del femminino ma, anche, del pio pudore e rispetto verso la Madre di Dio e il Mistero dell’Assunzione (anche se visti attraverso un semplice manichino), per rendere piacevole e meno ‘snervante’ il lavoro spesso il rettore provvedeva ad offrire alle donne bevande fresche, liquori dolci e confetti.

Così volle fare ad Ossi il rettore della parrocchia di San Bartolomeo Pietro Mundula d’Ozieri che, nell’agosto 1856, pensò di acquistare per l’occasione “due bottiglie di gazosa alle signore che vestivano la Vergine Assunta”, ma anche del rosolio, dolci e liquori.

La scelta delle incaricate avveniva non per diritto ereditario, nobiltà o ricchezza, almeno ad Ossi, ma per merito e devozione (anche se nel secolo precedente compiva il gesto la nobildonna moglie del fattore baronale della famiglia Piras).

Il rettore Mundula, giunto da poco nel paese alle porte di Sassari, apprezzò molto questa tradizione, diversa da quella del suo borgo natio e certamente più onesta. Ma dovette ben presto anche scontrarsi con un fatto assai strano e, per certi aspetti anche drammatico, accaduto nell’agosto 1854 proprio in occasione della vestizione della Madonna. È lo stesso rettore Mundula a raccontare i fatti (19 agosto 1854), con una verve eccezionale e un colorito linguaggio, a tratti assai espressivo (la relazione originale è conservata nell’Archivio Storico Diocesano di Sassari).

Narra il rettore come nel pomeriggio del 14 agosto (mentre si avvicinavano i primi Vespri dell’Assunzione), verso le 15:30/16:00, mentre recitava l’Ufficio Divino dal suo Breviario (Ora nona), vide avviarsi verso la parrocchiale donna Candida Delogu con due sue figlie assieme all’amministratore parrocchiale, così da far trovare pronto il simulacro dell’Assunta per gli imminenti Vespri.

La Delogu, forse troppo incautamente, aveva mandato a chiamare poco prima donna Ambrogina Carrucciu, moglie del cavaliere don Luigi Flores, per avere un aiuto in più durante la vestizione.

La donna sperava di trovare la signora Carrucciu “in un lucido intervallo”, giacché dal precedente mese di aprile “sia per gastigo di Dio sia per le percosse e maltrattamenti dell’empio marito” si trovava “girata di testa e maniaca”.

Ecco cosa rispose “la sofferente Carrucciu” alla serva di donna Candida: “E perché mi volete, e il sacrista dove l’è … mi hanno portata la farina grossa … lo dirò a don Luigi Flores stasera, se lui vuole verrò, se non me lo comanda non verrò”. Appresa la delirante risposta della povera Carrucciu, la Delogu e gli altri decisero di lasciar perdere e si affrettarono verso la chiesa.

Verso le 17:00 arrivò il rettore e vide che al lavoro con donna Candida e le figlie vi erano solo due dame invitate dall’amministratore, ma non donna Ambrogina. Il Mundula (che probabilmente – avendo saputo del suo difficile stato – aveva pensato di invitare a questa pia ‘distrazione’), convinto che la donna avesse accettato l’invito, attribuì l’assenza al brutto suo stato mentale (ingenuamente non pensò invece ad alcuna ingerenza del consorte) e in cuor suo si sentì sollevato, me nemmeno tanto, dalla cosa. Non pensava infatti che la signora fosse adatta ad intervenire al rito e che potesse dire cose poco consone ad un luogo sacro o essere comunque di scandalo (probabilmente fatti simili si erano già verificati).

Anzi, sua prima idea era stata non invitarla nemmeno, “non solo per i demeriti del marito” (che poi vedremo quanto gravi erano e quanto sottovalutati furono) ma anche perché “in certi momenti è pericolosa, non solo per gli oggetti che doveva maneggiare, ma ancora alle persone” (dunque non è errato credere che il sacerdote temesse recidive ma anche le strane dicerie sul marito).

Nel lavoro, infatti, si utilizzavano forbici, spilli e spilloni d’ogni tipo e si maneggiavano oggetti antichi, preziosi e delicati.

Il sacerdote, dopo questo siparietto, forse abbastanza inquietante per noi ma non per le donne e per lui, lasciò subito tutti al loro lavoro sotto il controllo dell’amministratore e si avviò verso la sacrestia, dove in molti lo attendevano e dove doveva dare disposizioni per le imminenti funzioni.

La serata proseguì come da copione. L’Assunta, come a Sassari in quel momento, fu posta nel suo sontuoso letto dinanzi l’altare maggiore, con quindici cuscini di raso sotto il capo e ricca di ori ed ex voto, circondata da una fitta foresta di alti ceri bianchissimi, ornati da fiocchi e fiori, e si intonò il solenne Deus in adjtorium d’apertura e si cantarono, dall’alta cantoria, i solenni Vespri e, dopo i cinque salmi, l’Ave maris Stella (cantato alla sardesca come ancora si usava fare sino a pochi decenni or sono) e il Magnificat inneggianti alla bellezza e all’umiltà di Maria, tutto terminò in un clima di serenità.

Ma non in casa Flores.

La signora Carrucciu, infatti, raccontò confusamente, a suo modo, al marito l’invito fattole dalla Delogu a nome del rettore Mundula e questi, forse interpretando a suo modo la vicenda, esplose in invettive contro la Chiesa, la parrocchia e il rettore, affermando che sua moglie aveva ereditato da una sua antenata, benefattrice dell’Assunta, il diritto di vestire la statua della ‘dormitio Virginis’ e che lui possedeva addirittura una carta che lo testimoniava, e i preti non si sarebbero dovuti permettere di calpestare i suoi diritti.

Riferì prontamente al rettore il suo sdegno, il quale, in tutta franchezza, gli rispose che in realtà era compito del rettore decidere riguardo i partecipanti alla vestizione e che, ad ogni modo, negli archivi parrocchiali non vi era traccia di alcun documento che comprovasse il diritto della moglie (originaria per giunta di Tempio… e non è vicino ad Ossi - ma è un nostro segreto! – che ovviamente sveleremo!) di vestire l’Assunta e che l’idea dell’invito la aveva espressa lui personalmente alla signora Delogu.

Donna Ambrogina aveva rifiutato lei di recarsi in chiesa, anzi, nessuno l’aveva allontanata arbitrariamente.

Fermiamoci. A chi dare ragione sino a questo momento?

Il rettore sapeva che donna Ambrogina non era mentalmente stabile ma, probabilmente, non sapeva l’origine di questo problema e non aveva mai pensato di collegare i suoi disturbi alle vessazioni subite dal marito. Probabilmente li riteneva frutto di pettegolezzi (e – si sa – se crescono nelle città, nei piccoli paesi fioriscono addirittura …)? Donna Candida e le altre dame, da par loro, la pensavano come il sacerdote, mentre l’amministratore non si espresse (lui doveva solo vigilare materialmente ed economicamente e non spettavano a lui né ‘questioni di donne’ né ‘questioni di direzione d’anime).

Vogliamo veramente dare una ragione? Chi siamo? La Storia è memoria e nasce, per natura, fallace. Non offrirà mai giudizi e sentenze di verità.

 

 

Facciata della chiesa di San Bartolomeo,Ossi, Ph© Marcello Derudas

 

Lettori, scusateci, torniamo a voi.

Il cavaliere Flores, irritato dalla risposta e offeso nell’orgoglio, iniziò a spargere per il paese fantasiose calunnie sul rettore, raccontando a tutti la vicenda, romanzata “con una tanto falsa impostura”, asserendo che la moglie era stata rifiutata dal perfido sacerdote Mundula e dai suoi tirapiedi. Abbiamo visto che, tuttavia, nonostante la incostante condotta del parroco e delle dame di Ossi, la nobile Ambrogina non era stata in alcun modo offesa. Chissà, forse anche lei assistette al solenne Vespro mariano e baciò con devozione i sandaletti argentei nei piedi della Vergine Assunta.

Torniamo a noi. Donna Ambrogina, fino ad ora, è sotto l’egida della ‘Vergine luna che sale più pura, del temibile sole al suo sorgere, forte più di un esercito in battaglia’. Ma la sua mente malata è libera come un puledro, libera. O, almeno, era.

Il cavaliere don Luigi Flores era davvero un uomo impudico, sfacciato, forse violento (ma non ne abbiamo nessuna prova). Non solo, infatti, probabilmente maltrattava la moglie in continuazione, tanto da averla indotta ad un grave esaurimento nervoso (almeno così credeva il rettore Mundula – suo confessore e direttore spirituale), ma manteneva una condotta morale che scandalizzava l’intero villaggio - l’Ospedale di Rizzeddu a Sassari era prossimo a costituirsi – la nostra Ambrogina non lo conobbe). O forse la nobile era veramente matta ed era stata maritata ad un ricco nobile di provincia per non essere di impiccio alla sua famiglia. Non lo sapeva il buon Mundula né dobbiamo presumere di saperlo noi.

Al momento in cui scriveva il rettore ozierese, il marito della donna, con un gesto di irriverente scherno verso la Chiesa Cattolica, aveva corrisposto solo “un grano di frumento per decima”, raccontò preoccupato l’ozierese; non si confessava da diversi anni, non andava quasi mai a Messa, ostacolando addirittura chi andava o chi faceva elemosine per la chiesa parrocchiale e per le feste dei santi. Non era, certamente, uno ‘stinco di santo’ e tutta la cittadina ne vedeva e sapeva il perché. E l’Assunta dormiva. Ancora. Nel suo prezioso letto dorato e indiamantato.

La situazione personale del nobiluomo era terribile e così ne scrisse il pio sacerdote ozierese alla Curia di Sassari: “Il veneno e le massime diaboliche” che sparge ad ogni occasione tra i semplici paesani mi hanno indotto a pensare che fosse un “propagandista salariato”, assunto da qualche setta sollecita nel diffondere le proprie teorie tra l’ingenua popolazione dei paesi, apparentemente più facile da circuire e da ingannare.

A Sassari era già presente la setta massonica e, prima di avere il suo primo maestro in un prete spretato e scomunicato del Collegio Convitto Canopoleno di Sassari, aveva già avuto i suoi ambasciatori fra i nobili turritani come il Flores (si disse che ne fu il direttore delle novelle carceri cellulari del Capoluogo turritano).

Secondo Enrico Costa, la setta massonica non fu gradita e, almeno agli inizi, morì: ai sassaresi non piacque il segreto e risero poiché voleva chiudersi fra ciarle di vecchioni in palazzi degni solo di demolizione. Ma gli antichi non vollero sentire neanche il socialismo, l’anarchismo, sette protestanti. Niente ebbe buon inizio nella grande e verde città turritana, antica, moderata e amante della pace. Ma una donna, Ambrogina Carrucciu, di Tempio, non sapeva nulla di tutto ciò. Ora che abbiamo vissuto le glorie di Maria e i patimenti di una donna, riflettiamo. Ora torniamo nella cittadina ottocentesca di Ossi, dove i nobili erano nettamente divisi dai ‘semplici’.

Una pillola? No. Un intero ciclo terapico.

Il reverendo rettore Pietro Mundula, forse, sino ad ora, è sembrato ambiguo. Ma non lasciò cadere la ‘strana storia’ della nobile famiglia Flores. E chiese informazioni.

Il sacerdote Giovanni Pinna Spada, viceparroco maggiore, raccontò di come, capitando un giorno il Flores in un’aia dove stavano diversi contadini (tra cui il cav. Spada seniore) egli iniziò subito a vomitare tante e tali eresie che i presenti inorriditi dovettero imporgli il silenzio.

Il marito di Ambrogina, infatti, appena vedeva un crocchio di persone intente a chiacchierare sul ciglio della strada si avvicinava subito per investire i poveretti con le sue stramberie, tanto da farli scappare.

Anzi, tanto alto era il suo zelo anticattolico (o la sua ignoranza, è difficile capirlo), che si spingeva ora a negare Dio ora a predicare contro la Chiesa, contraddicendosi e contravvenendo alle disposizioni stesse “della setta che l’assolda”, pensava il rettore (e di quest’anima debole forse ci si approfittava di spiriti … e non si parla di fantasmi). Secondo il buon rettore, Flores diceva dei sacerdoti che erano tutti concubinari, che l’arcivescovo era un ipocrita, che le Sacre Scritture erano opera dei preti, che la Confessione non è un Sacramento, che confessarsi “è pazzia” e che lui non si sarebbe mai confessato, che il Purgatorio e l’Inferno non esistono ma che sono stati inventati dai preti per far paura, che non è lecito il culto dei santi, che ognuno è libero di praticare ogni piacere e altre amenità del genere. Insomma, il motivo per cui pretendeva che la moglie fosse ammessa alla vestizione era solo l’incremento del proprio prestigio sociale e non la devozione a Maria Assunta o l’amore per la povera donna che aveva sposato, matta o sana che fosse. Anzi, impegnato com’era ad arricchire il suo banale campionario anticlericale, il Flores abbandonò subito la causa dell’infelice moglie. Negli anni seguenti, infatti, il rito della vestizione non fu più turbato da alcun fatto del genere né risulta che il disgraziato cavaliere sia più tornato alla carica con altre pretese. Ambrogina vestì l’Assunta e lo stesso, dopo qualche anno, avvenne con lei. L’Assunta, con su rettore, vestirono donna Ambrogina, diretta dove non ci forbici, spilli, follie e mariti. Questo la seguì da vicino ma solo la Chiesa gli fu Compagna, Quella terrena sorrideva …

Da lontano osservava il prete Mundula, con un piccolo cartiglio e minute scritte: “Rendendo onore a Dio, offro i posti per orfane che con tutti i miei beni voglio istituiti; offro all’Assunta i magnifici arredi da me donati alla parrocchiale di Ossi; offro per sempre le vaste selve presso Ossi”.

Pietro Mundula di Ozieri portò alla pace eterna donna Ambrogina e la raggiunse il primo giorno del 1871.  

Oggi la loro storia vive nei bellissimi prati di Badde Othieri ad Ossi.

La munificenza del rettore non si dimentichi. Ambrogina sarà sempre con lui, ‘matta’ come tutti noi.

 

 

Ph. Copertina ©Marcello Derudas, i sandali della Vergine Assunta di Ossi, gli stessi che, probabilmente, potè vedere anche Donna Ambrogina.


 

Marcello Derudas

                                                                                                                    

 Storico, storico della Chiesa, storico e docente di storia dell’arte. Laureato in Filosofia e specializzato in Filologia moderna, Industria Culturale e Comunicazione presso l’Università di Sassari, ha compiuto studi archivistici e biblioteconomici presso il medesimo ateneo. Responsabile per i Fondi Storici Archivistico e Bibliografico del Convitto Nazionale Canopoleno di Sassari dal 2009 al 2017, ne ha preso in cura anche l’ingente patrimonio artistico. Attualmente è borsista di ricerca presso la Scuola di Dottorato del Dipartimento di Storia dell’Università di Sassari dove si occupa di storia ecclesiastica medievale e moderna della Sardegna. Ha pubblicato diverse opere e articoli tra cui la monografia Ossi. Storia, arte, cultura (Cagliari 2012 / Sassari 2013), l’edizione critica del Rituale di apertura della Porta Santa di San Michele di Salvennor con la riscrittura della storia del monastero alla luce dell’acquisizione di documentazione inedita (nell’ambito della Collana Meilogu – Sassari 2014), la monografia Il Convitto Canopoleno di Sassari. Una finestra aperta su quattrocento anni di storia (Sassari 2018), l’inventario inedito delle carte e della biblioteca dell’ultimo vallombrosano di Sardegna Adriano Ciprari (Annali della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna – Cagliari 2020) e ha in preparazione l’edizione critica degli atti delle visite pastorali dell’arcivescovo Salvatore Alepus. Ha collaborato e collabora con diversi enti culturali, tra i quali la Pinacoteca Nazionale di Sassari.

 

Qui trovate l'intervista a  Marcello Derudas e le anticipazioni della rubrica #Pilloledistoria