Tutti cercano affannosamente il plauso pubblico. E i social network da qualche anno, ci hanno fornito un potente ricostituente per il nostro ego ipertrofico: il “like”. 

Post, foto, video, opinioni. L’obiettivo principale è solo quello di essere visti e apprezzati da tutti su un social. Basta un clic. Mi verrebbe da sintetizzare “like, ergo sum” sperando che René Descartes non se abbia a male per aver storpiato e parafrasato il suo motto filosofico. Anche la fredda comunicazione istituzionale negli ultimi tre anni è stata contagiata da questo strano virus di “infodemia”. Per lo meno fino a qualche settimana fa.

La comunicazione dell’ex premier Giuseppe Conte è stata curata da un esperto in comunicazione come Rocco Casalino. Lo stesso ex Presidente del Consiglio Dei Ministri in un'intervista al “Fatto Quotidiano” affermò che, quando il 31 maggio 2018, dopo un primo tentativo non andato a buon fine, fu ricontattato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per l'incarico di formare un nuovo governo, era solo un professore ordinario di Diritto privato all'Università di Firenze che non conosceva nulla del mondo della politica: non aveva neppure un account su Facebook né su Twitter. «A quel punto – rivelò Conte – ho scelto i miei collaboratori e ho scelto i migliori, i più talentuosi. Ho scelto Casalino dopo aver parlato con lui. Io credo che un premier non debba circondarsi di “yes men” ma di professionisti che sappiano dare il loro contributo». Conte dixit.

Fu proprio Casalino che all'epoca era responsabile della comunicazione per il M5s al Senato, nonché responsabile rapporti con i media che ideò la strategia di presentarsi come “l’avvocato difensore del popolo italiano”.

Più che il ghost writer – come fino ad allora era stato il portavoce di un presidente del consiglio, è stato un spin doctor che come Hitchcock si ritagliava sempre un “cammeo” nelle conferenze-stampa per informare la nazione dei “dipiciemme” ovvero i decreti del presidente del consiglio dei ministri che –ovviamente – avvenivano in diretta facebook dove quindi l’indice di gradimento del premier era facilmente contabilizzabile con i “like”. Appunto. Trasformando quindi ogni conferenza in evento e creando il “personaggio” Conte. Non per nulla, contando sull’aspetto virale dei social, sono sorte subito le fan pages delle “Bimbe di Conte”. E – absit iniuria verbis – non è escluso che anche questo sia nato dalla mente fervida di Rocco Casalino. 

Ma ora mi fermo: questa era solo una premessa. Non voglio parlare di Conte né di Casalino. Anche perché ora come capo del governo c’è Mario Draghi che – pare – vuol comunicare usando esclusivamente i canali istituzionali.

Dicevo dunque “Like, ergo sum”.

Tutto ruota attorno all’apparire. Non si pubblica un post per esprimere un parere su un fatto o una foto per il gusto di condividere un momento o un’esperienza della propria vita ma solo per ottenere i famosi “mi piace”. 

Guai dissentire!

Se manifesti un dissenso, sei polemico e verrai scaraventato lontano. Si creerà attorno a te solo terra bruciata. Basta un clic.

Leggo sul dizionario della lingua italiana Treccani «confrónto s. m. [der. di confrontare]. – 1. L’atto, l’operazione, il fatto di confrontare, di essere confrontato: fare il c. di due oggetti; (…)». 

Ecco: sui social manca un confronto, serio, pacato ma schietto. Manca un raffronto o paragone per le opinioni. A che serve un confronto tra due posizioni identiche? George Bernard Shaw ci lasciò un grande aforisma: 

«Se tu hai una mela e io ho una mela, se ce le scambiamo, allora tu ed io abbiamo sempre una mela per uno. Ma se tu hai un'idea ed io ho un'idea, se ce le scambiamo, allora abbiamo entrambi due idee».

Mi ritorna allora in mente una favolosa gag teatrale del grandissimo attore Ettore Petrolini che è giunta fino a noi anche grazie al recupero ad alcuni artisti, come ad esempio Gigi Proietti, che hanno riportato sulle scene il suo repertorio,  reinterpretando molti dei suoi testi. 

Sul palcoscenico Petrolini era un vulcano di battute, doppi sensi, sfottò, parole storpiate e freddure, spesso inventate al momento creando – da grande istrione e affabulatore quale egli era - un rapporto molto diretto, quasi un botta e risposta, col pubblico che affollava i teatri. 

Uno dei suoi personaggi era Nerone mentre stava a casa sua mentre il popolo lo attacca ferocemente perché accusato di aver incendiato Roma. 

Allora lui va alla finestra e fa un discorso molto diplomatico (ma è un eufemismo)  per calmare gli animi. 

Il popolo gli gridava “Bravo!” e Nerone rispondeva "Grazie!". 

Ed iniziava così un geniale gioco vicendevole di  botta e risposta, di “Bravooo-Grazieeeee” che si ripeteva più volte creando un effetto comico esilarante.

Ecco cos’è “l’effetto like”: un’edizione (molto meno geniale!) di questo dialogo.

Vengono pubblicate solo foto con lo sguardo giusto affiancate da citazioni di Oscar Wilde o Mahatma Gandhi e restano delusi se non raggiungono il numero sperato di “like”.

Poi c’è anche un qualcosa che possiamo definire un looping della comunicazione. 

Quando si raggiungono i 100 like, scatta lo screenshot per rendere noto che quella foto è piaciuta a 100 persone, con l’obbiettivo di raggiungere 500 like.

In questo vortice di autopromozione e ammirazione, secondo uno studio dell’Università di Firenze, si rischia di diventare dipendenti da Facebook e Twitter. I social networks, infatti, sono il terreno ideale per far proliferare il narcisismo.

Lo studio, condotto da Silvia Casale, Giulia Fioravanti e Laura Rugai e pubblicato sulla rivista “Cyberpsychology, Behavior, and Social Networking” ha preso in esame un campione di 535 studenti che hanno completato un questionario per valutare la relazione tra propensione al narcisismo e l’uso di internet. Ne è emerso che i “narcisisti vulnerabili”, cioè quelli insicuri e con meno autostima, sono proprio quelli più propensi a preferire le interazioni attraverso lo schermo piuttosto che faccia a faccia, e corrono il rischio di diventarne appunto dipendenti.

Poi ci sono i “narcisisti megalomani’ o grandiosi cioè coloro che tendono all’esibizionismo e vanno apertamente a caccia di consensi. Dal punto di vista dell’utilizzo dei social network, inoltre, non sono state riscontrate differenze significative tra i narcisisti grandiosi e i non-narcisisti.

La macchina dei like sta influenzando notevolmente l’umore dei più giovani e si rischia di rimanerne vittime ed incastrati.

Io ammetto che amo moltissimo stare su facebook e ammetto anche di essere un po’ polemico e controcorrente. Ma non cerco like. È un social network ovvero una rete sociale (detto in italiano!) dove confrontarsi su alcuni argomenti. Io esprimo ciò che penso, poi ascolto le altre opinioni al riguardo senza però prevaricare.

Come accennato nel mio incipit, noto che basta un’opinione contraria, un “like” mancato, un «invece no», un «se permetti, io penso che…» per scattare inesorabile il cartellino rosso, l’eliminazione. 

Bannato. Bloccato. Eliminato!

Non potendo eliminare fisicamente chi dissente e pensa in modo differente, i social networks ci offrono la possibilità di eliminarlo virtualmente per potersi beare tra i like, gli applausi, i “braaaavo/grazieeee” di Petrolini in versione 3.0

Abbiamo perso quindi il piacere del confronto. E quando non si è più in grado di accettare un’opinione diversa dalla nostra ci aspetta un destino crudele. Ma attenti, su facebook c’è il tasto “blocca” ma nella vita reale non c’è!

Un po’ come quando la regina Grimilde,  la perfida matrigna di Biancaneve,molto superba e vanitosa ed invidiosa della bellezza della bellissima Biancaneve, chiede ossessivamente allo specchio magico «Specchio, servo delle mie brame, chi è la più bella del reame?» ed alla risposta dello specchio magico (che dice sempre la verità) che incorona Biancaneve come la più bella del reame, decide di programmare la sua morte pur di restare la donna più bella del regno. E sui social, invece della mela abbiamo il “ban”

Ed ora non posso non citare – come conclusione – la saggezza di Oscar Wilde che ci ha lasciato una perla di saggezza per non rincorrere il mainstream:

«Ogni volta che la gente è d'accordo con me provo la sensazione di avere torto».

 

Vincenzo Mangione