Di Alessandra Derriu*

In Sardegna, come altrove, il vino è protagonista ed ingrediente principe di diverse pratiche magico-superstiziose, utilizzate a scopi curativi, contro il malocchio, nelle fatture e legature d’amore. Non a caso, mai per caso. I rituali, testimoniati nei documenti dei Tribunali dell’Inquisizione, dal Medioevo all’epoca Moderna, uniscono conoscenze legate alla medicina popolare, antichissime credenze e culti pagani ad una forte religiosità e devozione.

È bene considerare che il vino anticamente non era raffinato come oggi ed il suo sapore veniva modificato con l’aggiunta di spezie, miele ed uovo: diventava così, non solo più gradevole, ma anche fonte di nutrimento e sostentamento in assenza di un’adeguata alimentazione. Il vino, soprattutto se 'condito' poteva nascondere facilmente la presenza di altri elementi e la sua capacità di alterare l’umore favoriva in qualche modo la somministrazione della 'medicina', e l’influsso del potere della malia d’amore: assumerlo era semplice, berlo piacevole e confortante.

Il vino aiutava a confondere le menti, ad abbassare le difese, ma anche a raggiungere uno stato di tranquillità e
serenità che alleggeriva i pensieri. Nella medicina assiro-babilonese, ed egiziana, il vino è usato come anestetico e disinfettante, impiego che giunge fino a tempi più recenti nella farmacopea popolare come rimedio per peste, artrosi, mal di denti, difficoltà respiratorie dei bambini, febbri intermittenti o semplicemente per stati di raffreddamento, influenza e inappetenza.
Nell’antica Roma si parlava dei poteri terapeutici del vino come cura della mente, Properzio descriveva il vino come il rimedio agli affanni, Orazio diceva che allontanava le preoccupazioni, Seneca che guariva dalla tristezza, sempre con moderazione, perché il dosaggio elevato, fa diventare il farmaco un veleno, rende la cura una malattia, il benessere, malessere.

Il vino è già di per sé quindi una pozione magica. Il vino era nettare di vita e portatore di vita, come nutrimento, e al contempo conduttore di paure, passioni desideri, come il sangue.


Il sangue è l’altro fluido rosso che accompagna la storia dell’uomo, da sempre. Dalla notte dei tempi l’uomo dipingeva le proprie tombe con l’ocra rossa, simbolo del sangue che gli avrebbe garantito la vita nell’aldilà, il sangue, quello mestruale per eccellenza, era l’elemento che dava la vita ed era alla base di culti e riti antichissimi, il sangue si offriva agli dei, scorreva nei templi e sugli altari durante i sacrifici, si beveva, si adorava, suggellava intese eterne unendo le persone per
sempre, in un patto di sangue, il più forte. Da duemila anni il sangue di Cristo, del Dio Salvatore che compie il sacrificio estremo di donare il proprio sangue e la propria vita, è simboleggiato dal vino, sangue che salva dalla morte, sangue benedetto e salvifico che è emblema di un nuovo patto, una nuova alleanza.


Il potere del sangue dunque ed il potere del vino si uniscono. Fatture composte per agevolare il matrimonio e le unioni tra uomo e donna prevedevano l’uso del
vino e del sangue mestruale.

Di contro vino benedetto veniva usato per togliere il malocchio e curare gravi forme di malessere. Queste due pratiche avevano funzioni opposte, mentre la prima, si serviva del potere del vino e del sangue a scopi coercitivi ed era molto vicino alle pratiche di magia nera, la seconda era ascrivibile alla magia bianca, aveva funzione curativa e contro il malocchio, ovvero andava ad agire per la salvezza dell’interessato e non contro il suo libero arbitrio e la sua
volontà come nei legamenti d’amore.

 

Giulia Carta di Mores, vissuta a Siligo, è forse la più conosciuta 'strega' in Sardegna grazie allo studio del Prof. Tomasino Pinna. Processata per due volte dall’Inquisizione Spagnola a Sassari, tra il 1596 e il 1606, indovina e guaritrice, Giulia conosceva il potere delle erbe e dei brebus, orazioni e preghiere per le malattie del corpo e dello spirito, sapeva costruire amuleti, prevedeva il futuro.


Giulia affermava di sentire sempre la messa e di confessarsi, era una donna credente, una donna devota a Santa Romana Chiesa. Sono diverse le pratiche magico curative che descrive e che hanno come base l’utilizzo del vino, come per i dolori del costato, per i quali prepara decotti nel vino per poi frizionare la parte dolorante con massaggi caldi, e le fumigazioni che, sempre attraverso il vino bollito nell’acqua santa e condito con diversi elementi, usa per curare una malia, una fattura, un malessere strano senza febbre, freddo né dolori, dovuti quindi ad un maleficio. Le pratiche con l’uso del vino, e del sangue, sono considerate però le più potenti perché uniscono più principi ed
incanalano più energie, così si credeva: nel 1735, Maria Cosseddu, di Alghero, viene denunciata per pratiche magico-superstiziose, presso il Tribunale dell’Inquisizione Vescovile, tra queste, per agevolare una unione, quella di mescolare del sangue mestruale in una scodella con del vino e somministrare il preparato al futuro marito. Sacro e profano si uniscono nel sangue e nel vino, superstizione e devozione, magia e medicina.


Alessandra Derriu

Archivista e storica. Laureata in Conservazione dei Beni Culturali, Università degli Studi di Sassari, specializzata a Roma alla Scuola di Archivistica dell’Archivio Segreto Vaticano e presso la Scuola di Archivistica dell’Archivio di Stato di Cagliari. Autrice di: ‘Il tribunale dell’Inquisizione di Alghero. Storie di donne e di uomini attraverso documenti inediti del XVIII secolo’, 2015.  Magia e stregoneria dal Logudoro alla Barbagia. Le denunce dell’Inquisizione vescovile settecentesca nella diocesi di Alghero’, 2016. ‘Maura, l’indovina di Orotelli. Streghe nella Sardegna del ‘700’, 2018. 'L'eredità di Angela. Magia e stregoneria in Sardegna tra '800 e '900', 2020.

(Foto ©Studio 5 Alghero Fabio Sanna)


Articolo realizzato per il progetto "FocuSardegna a più voci"

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