Di Emiliano Deiana*


Ci sono storie a cui, per imperscrutabili motivi, si resta impigliati.

Per me, per molti, è il Caso Moro.
Il così detto Affaire Moro, ormai, non rappresenta più una questione giudiziaria né politica; non attiene nemmeno alla sfera (solo) storica, ma investe pienamente la dimensione letteraria ovvero non si capisce il Caso Moro se non attraverso la finzione della letteratura, dei mondi che il romanzo riesce a creare mischiando - appunto - realtà e finzione.

Il romanzo di Antonio Iovane, edito dalla Minimum fax, ci riporta a quella storia e quegli impigli, tenta l’avventura di indagare attraverso la letteratura fra i risvolti del Mistero.

Uno in particolare: la seduta spiritica che si tenne a Zappolino frazione di Valsamoggia, Bologna.

Il due aprile del 1978, cinque professori universitari e le rispettive consorti, Mario Baldassarri, Alberto Clò, Carlo Clò, Fabio Gobbo, Romano Prodi, si ritrovarono insieme per pranzo.

Sentendosi annoiati iniziarono, forse per gioco o per celia, una seduta spiritica con il piattino: evocarono gli spiriti di Don Sturzo e di Giorgio La Pira per sapere da loro se Aldo Moro, rapito dalle Br il 16 marzo, fosse ancora vivo e dove si trovasse.

Fra lo stupore generale, dopo un intero pomeriggio passato a fare il “gioco del piattino”, uscì un nome: Gradoli.

Romano Prodi, il 4 aprile, si recò a Roma e raccontò lo strano fenomeno a Piazza del Gesù: la sede della Dc. Raccontò di questo toponimo - Gradoli - a Umberto Cavina, capo ufficio stampa del Segretario della Democrazia Cristiana Benigno Zaccagnini.

Poi la polizia “confuse” il paese di Gradoli, in provincia di Viterbo, con Via Gradoli a Roma.

Fin qui la storia. Cinque professori universitari bolognesi. Una seduta spiritica. Un toponimo: Gradoli.

Poi inizia il romanzo dell’iper realismo di Antonio Iovane: un romanzo dove personaggi realmente esistiti entrano nella fiction.

C’è lo scrittore Leonardo Sciascia. C’è questo professore imbolsito e goffo dell’Università di Bologna che sarà per due volte Presidente del Consiglio e Presidente della Commissione Europea. Ci sono i brigatisti. C’è la malavita organizzata. Realtà e finzione si mischiano. Vero e falso si confondono.

Ma cosa è Gradoli, nella Storia? Una via o un paese?

E cosa accadde davvero nella casa colonica di Zappolino?

In Via Gradoli, a Roma sulla via Cassia, c’era il covo più importante delle Brigate Rosse: abitato da Mario Moretti e Barbara Balzerani.

Il 18 marzo, due giorni dopo la strage di Via Fani, la polizia bussa in Via Gradoli 96, interno 11. Nessuno risponde. Contravvenendo all’ordine di “sfondare” le porte che non si aprono la polizia va via: dentro al covo ci sono Mario Moretti, regista del sequestro Moro, e Barbara Balzerani.

Altre anomalie?
La palazzina di Via Gradoli 96 è piena di proprietà della Gradoli srl, una società di copertura dei servizi segreti.

Davanti a Via Gradoli 96, in un appartamento in uso ai servizi, alloggiava un sottufficiale dei carabinieri, Arcangelo Montani, che “sorvegliava” l’appartamento di Moretti: particolare curioso Moretti e Montani erano compaesani, di Porto San Giorgio, un paesotto di 15 mila anime in provincia di Fermo: strano, no?

Mario Moretti, inoltre, affittò l’appartamento di Via Gradoli dai coniugi Bozzo legati da stretti rapporti con Giuliana Conforto, figlia di Giorgio: il numero 1 del KGB in Italia.

In casa di Giuliana Conforto, nel 1979, vennero arrestati Valerio Morucci e Adriana Faranda, i due brigatisti favorevoli alla liberazione di Moro che si incontravano, indisturbati, con Franco Piperno e Lanfranco Pace su incarico del Partito Socialista favorevole alla trattativa per liberare il Presidente della Democrazia Cristiana.

Giuliana Conforto, si deve sapere, insegnava all’Università di Cosenza ed era collega di Franco Piperno. All’Università di Cosenza ebbe un ruolo non certo marginale, ne fu uno dei fondatori, Beniamino Andreatta: il Maestro di Romano Prodi e della “scuola bolognese”.

Franco Piperno (insieme a Lanfranco Pace) fu il tramite che il PSI, attraverso Claudio Signorile, utilizzò per contattare le Br nel tentativo di salvare la vita ad Aldo Moro e sbrindellare la “fermezza” di Dc e PCI e sabotare il Governo di unità nazionale.

Ma perché si “inventò” la seduta spiritica: ce lo rivela Francesco Cossiga.

“Per coprire la fonte”, dice l’ex Presidente della Repubblica e aggiunge riferito a Prodi: “se rivelasse la fonte non so quanto camperebbe ancora”.

Cossiga ebbe modo di dire, sempre riferito al fondatore dell’Ulivo: “In un altro Paese avrebbero chiuso Prodi in una stanza sigillata fin quando non avesse sputato il nome dell’informatore”.

Ma a cosa serviva indicare “Gradoli”: a liberare Moro o ad avvisare altri brigatisti ignari a non frequentare più un covo ormai bruciato col massimo del risalto mediatico possibile?

Nessuno ce lo ha ancora detto.

In tutti i processi sul Caso Moro fu presa per buona la versione del “paranormale”. Nell’ultima Commissione Moro si è evitato anche di rievocarla perché certi che i professori bolognesi avrebbero inscenato la medesima pantomima dell’originaria versione del paranormale.

Secondo Gero Grassi, vicepresidente della Commissione Moro, una fonte confidenziale gli avrebbe rivelato che fu Piperno a dire ad Andreatta di Via Gradoli.

Piperno, nella sua lucidità “rivoluzionaria”, pensava che Moro vivo e libero avrebbe destrutturato il potere italiano più di Moro morto e utilizzò il contatto di Andreatta e la “mis en scene” della seduta spiritica per far filtrare la notizia.

Piperno ha smentito.
Andreatta non può più parlare essendo deceduto nel 2007 dopo uno stato di coma irreversibile durato ben otto anni.

Altri, con altri argomenti, pensano che fu Giorgio Conforto, numero 1 del KGB in Italia, a far filtrare la notizia.

Ancora alcuni fatti curiosi.

Romano Prodi il 25 novembre 1978 fu nominato Ministro del Governo Andreotti (il Governo che gestì i 55 giorni dell’Affaire Moro).

Alberto Clò, proprietario del rustico di Zappolino, fu Ministro dell’Industria, fra il 1995 e 1996, nel Governo Dini.

Mario Baldassarri fu Vice Ministro dell’economia dal 2001 al 2006 del Governo Berlusconi.

Per una seduta spiritica andata così così le carriere sono state tutt’altro che irrilevanti nella storia della così detta Seconda Repubblica che prese le mosse dalla strage di Via Fani, dal rapimento e uccisione di Aldo Moro.

Mettiamola almeno in positivo: il silenzio non ha nuociuto alle carriere dei professori che, sollecitando gli spiriti di Don Sturzo e Giorgio La Pira, rivelarono il nome di Gradoli e ancora oggi si porta dentro molti, troppi, misteri e contorsioni.

Infine una curiosa nota di colore (per dire che nulla accade a caso) che niente c’entra col Caso Moro propriamente detto: Romano Prodi e Alberto Clò hanno fondato, negli anni, una rivista scientifica chiamata Energie. Su questa rivista ha avuto le prime ribalte pubbliche uno degli ideatori del Movimento delle Sardine, Mattia Santori.

Karl Marx, d’altronde, scriveva “la storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa”.

Il libro di Antonio Iovane, invece, ci conduce dentro uno dei misteri dell’Affaire Moro con maestria e capacità narrativa, nel porto delle nebbie della Repubblica che invece di diradarsi si infittiscono ancora di più col passare degli anni, delle stagioni.
Solo la finzione letteraria apre squarci di verità nelle fitte trame del Mistero.


 Emiliano Deiana

Nato il primo aprile 1974 vive a Bortigiadas. Cofondatore della Libreria Bardamù di Tempio Pausania. È stato Sindaco di Bortigiadas per 15 anni, attualmente è Presidente di ANCI Sardegna. Ha pubblicato nel 2012 il libro di racconti satirici  'Bar Sport Democratico', Ethos Edizioni. 
Nel 2020 è uscito il suo primo romanzo, 'La morte si nasconde negli orologi', Maxottantottoedizioni.

(Foto ©Andrea Deiana) 


 Articolo realizzato per il progetto "FocuSardegna a più voci"

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