All’ombra della Bela Madunina, i milanesi non rinunciano a piccoli momenti di relax per stare con se stessi. Piazza Duomo è indubbiamente un punto strategico per osservare il mondo, conoscere culture e modi di essere, espressioni di un’umanità di passaggio che si incontra freneticamente. Alle volte ti soffermi, supportata dall’imponente monumento equestre a Vittorio Emanuele II, e permetti al tempo di tatuarti addosso la varietà di persone che quella piazza offre.

Attendi l’arrivo del ragazzo africano che vorrebbe regalarti un braccialetto colorato portafortuna, o che qualche piccione minaccioso ti svolazzi addosso in cerca di cibo, esortandoti infine ad andar via, nel timore che, proprio in quel momento, possa liberare i suoi pesi. Fai per andartene ma nella mischia percepisci delle voci, o meglio, dei suoni gutturali, che un tempo erano parte della tua sfera familiare.Intuisci all’istante che arrivano da casa tua, dalla terra nella quale sei cresciuta, vibrati di un’infanzia dove, senza capire cosa fossero, anche tuo padre emetteva quei suoni.Quelle erano le colonne sonore prevalenti durante i viaggi in macchina, che inizialmente rinnegavi, ma in seguito, con orgoglio, volutamente rese tue, impregnate nella tua memoria sonora.

Scopri infine che ad esibirsi sono cinque ragazzi, emigrati, sardi come te, e hanno formato un gruppo di canto a tenore. Sembra quasi la versione italo-sarda del film The Commitments. Un gruppo di ragazzi della periferia di Dublino si ritrova in una città non propriamente soul, a formare una band soul. Salvatore Selloni (voce guida, Nuoro), Gianmario Cucca (seconda voce, Nuoro) Giacomo Floris (sa contra, Nuoro) Fabrizio Garau (sa mesuboche, Sorradile), Andrea Demuru (su bassu, originario di Meana Sardo), si riuniscono al Nord nel 2013, e formano il Tenore Làcanas, metastasi, oltre i confini isolani, dell’Associazione Culturale Folkloristica Bustianu Satta di Nuoro.  

Cosa ha portato questi cinque ragazzi a costituire un tenore fuori dall’isola lo scopriremo tra poco. E’ assodato, oramai, che il tenore (alzi la mano chi sostiene il contrario), canto tradizionale dal 2005 inserito dall’Unesco tra i Patrimoni orali e immateriali dell’umanità, rappresenta la punta di diamante nella tradizione locale, espressione probabilmente di quel mondo agro-pastorale, che ha caratterizzato la società sarda. Un linguaggio strettamente legato ai suoni della natura o una forma d’arte  della quale non abbiamo testimonianza scritta, ma, quanto l’abito tradizionale nella sua immensa varietà di stili, radicata negli usi di ogni singola comunità della Sardegna. Nel tempo, ai canti, sono stati attribuiti differenti, controversi, significati. Il termine stesso è stato oggetto di fraintendimenti: il tenore è il gruppo, come la mandria, come il reggimento, formato da boghes che, con un tono di voce sostenuto, nell’insieme, danno origine a un suono corale, ripetitivo e continuo. L’esecuzione parte con melodie e armonie elementari di base, combinate al momento, attraverso una successione ritmica non preordinata in sequenze rigide, ma sempre diversa, originale e irripetibile, a seconda della sensibilità e del gusto estetico dei cantori.

Un modo per imitare i versi degli animali forse,  a testimoniare ancora quanto l’uomo nuragico o pre-nuragico (il periodo storico cui risalirebbe il canto è ancora ampiamente dibattuto) avesse stabilito un rapporto viscerale con la natura, al punto da influenzarne la sua forma espressiva. Versi, così, tradotti in un dialogo di voci accompagnate da sillabe nosense, che formano immagini musicate di pastori, di uomini rocciosi inghiottiti per mesi, coi loro pascoli, dal lavoro nelle campagne. Il tenore ha voluto essere, di diritto, la musica del silenzio di questi uomini. Un sistema semplice, “comprensibile” da ogni cultura, per riportare poesie, rievocazioni del lungo isolamento del pastore, dei momenti di festa al suo ritorno, dell’amore.

Come ogni forma d’arte, anche il tenore è soggetto a dei codici propri, a delle melodie e ritmi differenti che mutano nell’espressione e nella percezione. Ogni cantata è unica, ma rispettosa del linguaggio musicale di quella specifica comunità (traju, trattu o moda). Sulla base di questo è nato l’input di capire il pensiero e la storia dei Làcanas, che in una zona gelida e sfuggente come il Nord Italia hanno voluto imprimere, sotto il Duomo, attraverso i loro canti, l’eco identitario della Sardegna.

 

 

Tre nuoresi, uno proveniente da Meana Sardo e uno da Sorradile. In quale occasione vi siete incontrati?

Io (Giacomo) e Andrea “su Bassu” ci siamo conosciuti personalmente a una festa nel novembre del 2011, in un Circolo Arci della zona di Milano. Ci eravamo dati appuntamento dopo esserci trovati in un noto gruppo di “Sardi a Milano” esistente su Facebook. Da allora abbiamo frequentato circoli dei sardi e durante le feste improvvisato cantate, abbiamo acuito la nostra sintonia sonora, poiché lui stesso conosceva la “moda” di cantare alla nuorese. L’amicizia è venuta da sé. Nel mondo della musica tradizionale e popolare, non può formarsi una buona armonia senza riuscire a condividere l’umore, cioè il modo di intendere le cose e divertirsi. Con Salvatore, “sa Boche”, ci siamo conosciuti meglio nel 2012 a Nuoro (paese di provenienza di entrambi). Lui è giovanissimo (21 anni), conoscevo il padre dal ‘97 , il quale ha fondato l’Associazione Bustianu Satta. Noi, Tenore Làcanas, ci riferiamo parecchio a essa. L’amicizia è nata nel corso del 2013, sapevamo che Salvatore doveva partire per motivi di studio a Parma, dunque abbiamo deciso insieme di seguire questo progetto. Sempre nel 2013 ho approfondito la conoscenza e amicizia con un altro ventenne di Nuoro, Gianmario Cucca, già voce del Tenore Grazia Deledda. Quest’ultimo intona, con noi, la voce solista dall’ottobre 2014, cioè dal suo arrivo a Piacenza.

Con Fabrizio “sa Mesuboche” (emigrato dal 2003) ci siamo incontrati sempre nel 2013 tramite Facebook, commentando dei video riguardanti altri tenori sardi, e ci siamo riconosciuti in quanto, nonostante fosse cresciuto a Sorradile, aveva parenti a Nuoro dove ha, anche lui, maturato sin da ragazzo la passione per il canto. Siamo diventati amici vedendoci con gli altri del gruppo, in varie occasioni, e abbiamo iniziato a cantare per passione.

 

Come e quando è nata la passione per il canto a tenore?

Cantiamo a tenore si da ragazzini. Anche Andrea, cresciuto tra i “Sardi a Milano” ma che spesso tornava al suo paese di origine, ha imparato a cantare in Sardegna. In Sardegna si prova a cantare in genere in fase adolescenziale, intorno ai 12-13 anni. Anche noi abbiamo iniziato tra i 12 e i 15 anni. La passione nasce, di solito, durante le feste tradizionali in piazza (quasi sempre connesse alla religiosità). In quelle occasioni i cantori più grandi e i “maestri”, i migliori esecutori del canto del proprio paese, cantano con spontaneità e si impara ascoltando loro. Si prova solo se ammessi dagli stessi. Poi ci si incontra con i propri coetanei (fedales) e si diventa pratici. La trasmissione pratica, e passionale, è quindi strettamente connessa alla propria comunità e agli anziani custodi della rigorosità, ma anche dinamicità, tradizionale.

 

Perché  avete scelto il nome Làcanas?

"Làcanas” in sardo vuol dire confini. Ma “a làcana” vuol dire anche vicino e “sos làcanantes” sono i vicini di terreno,di casa. Noi ci reputiamo un tenore senza confini ma allo stesso tempo vicini, strettamente legati alla nostra terra e alla nostra zona.

 

Come organizzate i vostri incontri e come riuscite ad amalgamare i differenti stili dei vostri luoghi di origine?

Abitando quasi tutti nella zona di Milano e Piacenza, siamo riusciti a stabilire una sera, ogni fine settimana, in cui incontrarci e provare. Abbiamo una vasta scelta in merito alle sale. Le prove sono importanti in due sensi, strettamente legati tra loro: consolidano l’amicizia tra i componenti del gruppo e permettono di migliorare l’esecuzione dei propri moduli di canto. Noi rappresentiamo la “moda” (maniera di cantare) di Nuoro. Quando ci esibiamo vogliamo che i nostri paesani siano orgogliosi del modo in cui rappresentiamo il nostro e il loro paese. Il canto a tenore è dinamico, mai statico e ripetitivo. Le poesie, che la nostra voce decide di cantare, vengono scelte accuratamente per il loro senso e vengono adattate ai vari moduli e ritmi di esecuzione. Cantiamo alla Seria, a Ballo, a Muttos e a s’Andira (a breve anche i canti sacri),come da tradizione nuorese.                                                                                                                              

Per quanto riguarda il superamento delle diversità relative ai rispettivi luoghi di origine, abbiamo avuto abbastanza fortuna. Diciamo così perché ci teniamo al rispetto delle singole caratteristiche delle comunità di appartenenza, ma il destino ci ha permesso di incontrare Fabrizio che, seppure originario di Sorradile, conosceva abbastanza bene i canoni nuoresi, essendo entrato in contatto tramite i suoi parenti nel capoluogo. Inoltre Andrea, avendo origini di Meana Sardo, non ha avuto problemi nell’integrarsi con noi nuoresi perché nel suo paese si è persa, purtroppo, testimonianza del proprio canto a tenore.

 

Cosa provate quando cantate a tenore?Quali sono le vostre sensazioni?

E’ difficile descrivere le sensazioni che si possono provare cantando a tenore. Sappiamo per certo che vi sia un’ intensità unica in quanto, prendendo le basi dai saperi tradizionali, il canto ci fa quasi entrare in contatto con i nostri antenati, con le nostre radici più profonde, ci fa sentire parte di una comunità e dei suoi più intimi usi e costumi. Allo stesso tempo le sonorità del canto a tenore si possono produrre solo con un forte senso della melodia e dell’amalgama tra suoni diversi, proprio per questo la sintonia e l’amicizia assumono connotati molto forti.

 

Diverse, importanti, manifestazioni vi hanno visto protagonisti. Vi siete esibiti alla Fiera Internazionale di Milano-Rho, al Teatro del Verme, alla Palazzina Liberty e nei circoli sardi disseminati al Nord. Recentemente anche all’Expo, di fianco l’albero della vita. Sardi a parte, come viene percepito il vostro canto dalle altre persone? E’ sufficientemente conosciuto nel suo senso profondo?

Si diciamo che, nel tempo, il nostro lavoro di divulgazione ha dato i giusti frutti, e visibilità, a questa forma di tradizione. C’è ancora tanto lavoro da fare affinché la gente non sarda (e non della zona in cui il canto a tenore è praticato e conosciuto in Sardegna) riesca a cogliere l’importanza di questa forma arcaica di musica. Alcuni si soffermano sulla tecnicità sonora nella fase di esecuzione e altri sul linguaggio usato, o sul ritmo impartito al canto. Ma pochi riescono a capire che esso nasce dagli usi tradizionali di un popolo e che ogni singola comunità ha scelto di distinguersi in base al diverso tipo di ritmo, di parlata e di timbri vocali. Noi continueremo a lavorare per far comprendere che siamo "cantadores", cioè tramandiamo una forma di cultura antica, che si esprimeva con il canto ma che non si può identificare in una canzone, è espressione di quel momento e non è mai ripetitiva.

 

Nel periodo della grande emigrazione la musica era uno degli strumenti in grado di lenire la lontananza e, al contempo, rafforzare le radici culturali. Siete rimasti fedeli alla tradizione e qual è la visione che avete di essa?

Possiamo dire di essere alcuni, tra i tanti esempi, di incubatori del “mal di Sardegna”. La nostra terra per noi non è mare e turismo, ma bensì collina, montagna, fauna e flora tipiche e, soprattutto, una custode di molteplici e millenarie espressioni tradizionali e culturali. Incontrarci per riportare, e addirittura evolvere, la tradizione conosciuta nel nostro paese di origine, non può che farci sentire vicini a esso e alla nostra gente. Solo così riusciamo a non abituarci all’inerzia dell’odierno uomo urbano, a mantenere e rafforzare il legame con le nostre radici. Gli emigrati,e non,che ci ascoltano devono sentirsi a casa, nella Sardegna più autentica.

 

La vostra origine è dell’entroterra sardo, una zona storicamente non accessibile, anche a livello turistico. Come, secondo voi, si può risolvere questo problema oggi e cosa si potrebbe fare, soprattutto per i tanti emigrati che, spesso, hanno difficoltà a tornare a casa?

Secondo noi il lavoro per far conoscere meglio la Sardegna deve essere portato avanti su diversi fronti. Si deve parlare di essa molto di più fuori che all’interno dell’isola. In questo senso investiamo le nostre fatiche, usando la musica tradizionale come mezzo divulgativo. Ma anche la politica deve continuare a fare la sua parte, investendo, magari, nei principali canali di marketing turistico e stipulando convenzioni con i vari attori di questo mercato, sia a livello nazionale ed internazionale. Dovrebbe, inoltre, rendere più fruibili gli incentivi per le imprese sarde che sono da molti misconosciute. Esempi di comunità apparentemente isolate a cui ispirarsi ne è pieno il web. Per esempio, ci sono tante isole sparse nel mondo che riescono ad avere una economia, specie turistica, forte. I trasporti aerei dovrebbero seguire le ultime tendenze ed essere potenziati i voli low-cost, gestendo meglio i costi sulle auto a noleggio. 

Così facendo, forse, si eviterebbe di andare incontro agli inutili cartelli che rendono ostici i trasporti navali, e sarebbero facilitati non solo gli emigrati, ma anche i turisti che desiderano conoscere i segreti di un’isola che è unica nel Mediterraneo.

 

 

 

Autore dell'articolo
Natascia Talloru
Author: Natascia Talloru
Freelance nel settore culturale. Dopo anni di formazione scientifica tra Cagliari e Milano, mi indirizzo nello studio delle terapie naturali, della medicina alternativa e antropologica, in particolare della Sardegna. E’ in Barbagia, nei luoghi del cuore, che le mie passioni per il giornalismo, la comunicazione e la musica si trasformano nel tempo in lavoro. Attualmente scrivo su testate giornalistiche online/offline e collaboro con diverse realtà locali nell’ambito della comunicazione web. Ho ideato Ilienses, un progetto musicale, culturale e audiovisivo sulla Barbagia, di cui sono anche General Manager. Vagabonda errante per natura, trovo la mia pace dei sensi nell’abitare e vivere i paesi della Sardegna, a contatto con la terra e le sue meraviglie.
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