Maria Adelasia Divona, nata a Nuoro 39 anni fa, è cresciuta a Sassari. Il padre è originario della provincia di Rieti. La madre è di Bono. Nel suo dna, l’emigrazione: vive in Friuli dove svolge l’attività professionale di sociologa con un passato da atleta come giocatrice di pallamano ad Enna. Laurea in Scienze Politiche all’Università di Palermo, e poi il dottorato di ricerca in sociologia ma, soprattutto, l’incontro con i Gesuiti dell’Istituto di Formazione Politica “Pedro Arrupe” di Palermo, presso il quale ha frequentato il master in politiche pubbliche e ha avuto la possibilità di specializzarsi in Spagna e negli Stati Uniti. Ora che vive in provincia di Udine, ha imparato a sentirsi a casa e vicina affettivamente a quei sardi che in queste terre hanno fatto la storia con la Brigata Sassari nella Prima Guerra Mondiale. E del suo forte legame e il senso di appartenenza ai “Dimonios”, è nato quell’ambizione di avvicinamento alla carriera militare.

 

Cosa vuol dire appartenere alla Riserva Selezionata dell’Esercito?

Significa essere un ufficiale delle forze di completamento volontarie dell’Esercito. La Forza Armata ha spesso bisogno di particolari professionalitàper le proprie esigenze operative, addestrative e logistiche, in Patria e all’estero, che non sono disponibili al suo interno, e quindi ricorre al reclutamento di professionisti provenienti dalla vita civile in possesso di particolari requisiti d’interesse.

Come ci sei arrivata?

Me ne parlarono per la prima volta due anni fa l’allora Comandante della Brigata Sassari, Gen. Scopigno, e il suo Capo di Stato Maggiore, Col. Bruno, quando vennero ad Udine per l’inaugurazione del monumento dedicato dal Circolo dei Sardi ai Sassarini della Grande Guerra. Mi chiesero di cosa mi occupassi, e midissero che le mie competenze potevano tornare utili all’Esercito, e mi suggerirono di fare domanda per la Riserva. Rimasi molto sorpresa del fatto che anche una professionalità come la mia potesse servire…l’unico esempio che mi veniva in mente era un amico chirurgo che era stato richiamato in Iraq, ma pensavo fosse dovuto al fatto che lui aveva prestato a suo tempo servizio come ufficiale medico. Poi ho fatto una ricerca sul sito dell’Esercito e nel giro di un paio di giorni ho inoltrato la domanda. Sono molto grata a chi mi ha dato questo input: da lì è nata una proficua collaborazione per alcune iniziative con la Brigata Sassari come civile, di cui ho scritto anche su TIP, e ho capito che anche una sociologa può fare la sua parte per la Patria indossando una divisa.

Quale iter hai seguito?

E’ stato un iter lungo, che è durato due anni. L’esito positivo all’istanza l’ho avuto nel giro di poco tempo, ma poi ho dovuto aspettare prima di essere chiamata a Roma per conseguire l’idoneità sanitaria, e successivamente andare a Civitavecchia presso l’Ufficio Orientamento e Sviluppo Professionale dello Stato Maggiore dell’Esercito per uno stage capacitivo di 2 giorni in cui vengono valutati gli aspetti motivazionali e comportamentali connessi con la peculiarità dei prevedibili impieghi. A febbraio di quest’anno attendevo la chiamata per andare a fare il corso alla Scuola di Applicazione dell’Esercito a Torino, ma invece della convocazione è arrivato il decreto di nomina del Presidente della Repubblica a capitano del corpo di commissariato. Ricevere il decreto è stato un grande orgoglio, che ha mitigato solo in parte la delusione di dover aspettare fino adottobre per frequentare il corso.

In che cosa consiste il corso?

Si tratta di un corso teorico e pratico che dura cinque settimane, che dà una formazione di base per poter affrontare la vita militare non come civile in divisa, ma come ufficiale sottoposto in tutto e per tutto all’ordinamento militare che nella sua qualità di specialista funzionale svolge compiti di supporto di natura non militare, praticamente quello che fanno i sociologi, i medici, gli ingegneri, gli architetti, i giornalisti, gli esperti di lingue rare e le altre professionalità che appartengono al bacino della riserva selezionata. I contenuti sono strettamente militari: l’istruzione formale per il saluto e l’abbigliamento, l’addestramento individuale al combattimento e all’uso delle armi, storia militare, topografia, trasmissioni, esplosivi e mine, cooperazione civile-militare, organizzazioni internazionali e teatri operativi. Per la parte pratica siamo stati una settimana in montagna, e poi abbiamo fatto delle altre giornate di addestramento all’aperto con il supporto della Brigata Alpina Taurinense. E infine c’è stata la cerimonia del giuramento, con la “diagonale” e la sciabola, come per qualsiasi altro ufficiale.

Cosa ha significato giurare davanti alla Bandiera?

Una emozione indescrivibile, che traspare dalle foto e dal video di quel giorno, e che ogni volta che le guardo mi danno un brivido. Ha significato realizzare prima di tutto un desiderio presente da sempre. I miei genitori dicono che hanno sempre saputo che sarei finita con una divisa addosso. Ricordo che da piccola, al classico quesito “cosa vuoi fare da grande” rispondevo “la carabiniera” (si proprio così: il pallino della parità di genere, che ora caratterizza la mia attività professionale, risale a quei tempi), e quando replicavano che non avrei potuto farla la risposta era sempre: e io la faccio lo stesso!Poi, quando nel 2000 hanno aperto l’accesso alle accademie militari, e sono stati banditi i primi concorsi, mi ero sposata da poco e la questione non fu assolutamente negoziabile con il mio ex marito. Ma il pensiero di aver perso una chance mi ha perseguitata per molto tempo. Può sembrareuna opzione scontata, essendo cresciuta con un carabiniere in famiglia, ma dietro c’è molto altro. C’è l’insegnamento ricevuto in casa e la trasmissione di valori forti come il senso del dovere, della giustizia e della correttezza. Oggi, con più maturità, c’è anche qualcosa che si può spiegare forse comespirito di servizio, mettendo a disposizione un saper fare che anni fa non era disponibile nel mio bagaglio professionale per poterdare il mio contributo, dando un senso a quell’articolo 52 della Costituzione che recita “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino” (e della cittadina, aggiungo io), che non significa necessariamente difenderla in un ruolo “combat”, ma anche operare come specialista funzionale. C’è, infine, tutta la tensione ideale legata alla nostra storia di “popolo in armi” degli ultimi cento anni, a mio nonno sassarino, uno dei Ragazzi del ’99 che è riuscito a tornare a casa, e a quella della Brigata Sassari che per me è Sardegna, è casa. Ho onorato l’art. 52 della Costituzione facendo incidere “Sa vida pro sa Patria”, il motto della nostra Brigata, sulla mia sciabola da ufficiale, ma non sono stata la sola. Un collega di Bonorva del corpo degli ingegneri ha fatto incidere sulla sua “Semus istiga de cuss’antigazente”. Non è un delirio individuale, ma storia, cultura e tradizione che ci scorrono dentro.

Come vedi l’Esercito?

Il nostro Esercito è un micro cosmo della nostra società. E’ una grande organizzazione, con i suoi pregi e i suoi difetti, come qualsiasi organizzazione. Un grande pregio, a mio avviso, è quello della formazione e dell’addestramento continui, a tutti i livelli. E d’altronde non potrebbe essere diversamente: abbiamo scelto di avere un esercito di professionisti, e la professionalità ha un continuo bisogno di rinnovarsi, sia dal punto di vista tecnico, sia dal punto di vista della conoscenza in senso lato, altrimenti si mettono a rischio vite edoperatività. I difetti sono quelli delle grandi organizzazioni verticistiche, in cui le procedure sono estremamente dettagliate e il livello di burocratizzazione elevato. Ma quale apparato del nostro Stato non lo è? E tuttavia, trattandosi di una organizzazione fortemente gerarchizzata basata sull’esecuzione di ordini, la variabile individuale e il pensiero critico talvolta hanno difficoltà a trovare spazio, per il timore che venga meno il consenso e la coesione del gruppo: sfortunatamente, più forte lo spirito di corpo, maggiore il rischio di groupthinking, una patologia organizzativa che espone l’istituzione a performance non adeguate rispetto al potenziale che potrebbe esprimere.

E adesso che farai?

Continuo la mia attività professionale da sociologa “civile” come consulente per pubbliche amministrazioni e aziende, mentre resto in attesa di un richiamo come social analyst o come gender advisor. Sperando che, prima o poi, il contributo che potrò dare possa essere richiesto anche dalla “mia” Brigata.

Massimiliano Perlato

Autore dell'articolo
Simone Tatti
Author: Simone Tatti
Giornalista, data analyst e performance strategist per aziende, istituzioni e privati che hanno bisogno di implementare il proprio business e costruire un’immagine positiva mediante comunicazione tradizionale e digitale. Economista di formazione, con master in sviluppo territoriale e gestione d’impresa mi appassiono al mondo dei media dopo aver vinto il primo concorso universitario Heineken – Ichnusa in “Marketing e Comunicazione”. Scrivo con costanza da circa nove anni su testate giornalistiche off e online prediligendo la produzione di reportage e articoli di analisi statistico/economica. Per amore verso la mia terra, fondo www.focusardegna.com. Ho curato l’immagine e la comunicazione di progetti di destinazione turistica (i.e. Distretto Culturale del Nuorese e Sardinia East Land | destinazione globale Nuorese Ogliastra) e la gestione dei canali social di affermati mass media (Unione Sarda, Videolina e Radiolina). Di recente anche startupper.

Per sapere altro su me o quel che faccio, visita il mio sito www.simonetatti.it.

Dello stesso autore: