Mi ero attardato più di quanto previsto, lasciandomi avvolgere dai profumi e i sapori e visitando quei mille luoghi favolosi di cui avevo solo un ricordo labile che profumava di casa. Ma, ora, tutto era un unico fermento, un solo organizzarsi e dire, un solo desiderio di partecipare.
Che , per alcuni aspetti, riguardava anche me. Era arrivato il suo tempo. Erano arrivati, finalmente, i giorni del Carnevale. 

 Ricordavo, da bambino, le giornate di attesa e quelle di paura. Le stesse in cui mia nonna mi esortava, senza una vera e solida ragione, a rimanere in casa per evitare di fare strani incontri, di trovare persone con brutte idee, con strani intenti. Di trovarmi nella situazione sbagliata, nel momento peggiore. 

E allora, mi limitavo, a seconda degli spostamenti di mio padre e di dove mi sarei trovato in quel periodo, a curiosare dagli stipiti della finestra quei movimenti convulsi di figure scure. Sentivo anche io quel fremito, leggevo l'emozione negli sguardi dei miei compagni di questa o quella scuola a pochi giorni dall'inizio del carrasecare ma era sempre come se lo guardassi da una sfera di cristallo. 
 
E non capivo quei gesti e i passi ritmati, le facce scure e i cappucci calati sulla fronte, le pelli di animale e le campane. Perchè provare tanta emozione per quello che ai miei occhi di bambino non preparato, osservatore del mondo da una finestra più chiusa che aperta, appariva più un rito funebre che di gioia e lietezza?
 
Aspettai tanti anni con la stessa immagine fissata nei ricordi d'infanzia, di ombre cupe e corna, volti tinti di un nero denso, suoni ritmati di campanacci e voci. 
 
E sentivo la voce di mia nonna non sarda che forse troppo suggestionata o pronta a mettere sotto la lente della religione qualsiasi cosa, leggeva quel rito come un terrore da vietare a un bambino. Non fatto per occhi puri. 
Molti anni dopo, quando il mio sguardo aveva iniziato a coprirsi delle prime rughe e ombre, decisi che era giunto il momento di vedere e godere di quei giorni per poter lasciar vagare i miei occhi al di là della sfera di cristallo.
E ne vidi diversi, ne capì il ritmo, rividi la storia e il ciclo quasi etereo delle stagioni.
 
Mi lasciai morire e rinascere in quei passi e in una sola notte fu come se un unico me stesso vagasse tra spazio e tempo.
Quello fu il carnevale sardo, per me.
E ora, al mio ritorno, mentre il mio sguardo si fa meno limpido per via del transito dei giorni e degli anni sui miei calendari, sento, finalmente, lo stesso tremito per tanto atteso, desiderato e immaginato.
 
E aspetto di diventare parte di una sola sequenza di passi e suoni, di lasciarmi trascinare, prendere e liberare mille e mille volte.
Di annullare l'identità presente e lasciarla scivolare tra passato e presente.
In un solo momento, in un unico Carnevale. 
 
Mario Terocs