Finalmente giovedì si vota per il referendum. Era ora. Sono mesi che nel Regno Unito non si parla d'altro. In TV, sui giornali, discussioni accese a cena con amici o nel taxi con l'autista che ha messo l'adesivo LeaveEU (lasciamo l'UE) in bella vista tanto per evitare fraintendimenti. E il tema più caldo è, prevedibilmente, quello dell'immigrazione.

C'è una domanda che ho sentito spesso negli ultimi mesi che rappresenta il cuore del dibattito. Ha delle variazioni, ma in sostanza è questa: "Perché il Regno Unito dovrebbe rifiutare il permesso di lavoro ad un chirurgo indiano per far entrare l'ennesimo barista italiano?". Domanda antipatica, ma valida. Per chi pensa che il Regno Unito potrebbe benissimo fare entrare tutti e due, ecco un paio di statistiche: nel 2015, la migrazione netta nel Regno Unito è stata di 330.000 persone. Più della metà, 184,000, venivano dai paesi dell'Unione Europea - un record. A parte il dibattito sull'impatto dell'immigrazione, il vero problema per David Cameron è che una delle sue promesse elettorali fu di mantenere la migrazione netta sui 100.000 immigrati all'anno pur rimanendo nell'Unione Europea. Promessa impossibile, dicono i sostenitori di LeaveEU. In effetti, anche Cameron stesso ha smesso di menzionarla, cercando di spostare il dibattito verso i benefici che l'immigrazione ha portato al paese.

Se il governo vuole abbassare i numeri di immigrati, lo può fare solo rifiutando chi viene fuori dall'UE, anche se quest'ultimi hanno qualificazioni professionali (chirurgia, radiologia, etc.) di cui il Regno Unito ha bisogno. Nel periodo precedente al referendum, i giornali pro-Brexit spesso mostravano spesso storie di famiglie australiane, canadesi o Stato Unitesi, immancabilmente bionde con lineamenti anglosassoni, che dopo un paio di anni dovevano tornare a casa perché non gli era stato rinnovato il permesso di lavoro. Intanto i numeri di immigrati europei continuano a crescere. È difficile trovare numeri esatti, perché non tutti si registrano con la propria ambasciata (confessione: io ci ho messo 8 anni prima di iscrivermi all'AIRE - Anagrafe degli Italiani Residenti all'Estero) e non tutti, sopratutto chi ha un lavoro sottopagato spesso in nero, richiedono il National Insurance Number, la versione inglese del codice fiscale. Comunque, il gruppo più grande di europei residenti in UK sono sicuramente i polacchi, che dal 2004, anno dell'apertura a Est dell'Unione, a ora sono più di 900.000. Rumeni e bulgari, si pensa siano quasi 350.000.

Ma il vero cambiamento degli ultimi anni viene dai paesi della cosiddetta 'vecchia Europa' - specialmente Spagna, Grecia e Italia. Nel 2015 gli arrivi dai paesi più colpiti dalla crisi dell'Euro e dalla disoccupazione sono saliti del 19%. Si pensa che solo gli italiani ora siano circa 600,000. Cosi' tanti che e' appena uscito un documentario su di loro, Influx. Nel film, la mia collega e amica Caterina Soffici dice: "Non è che a Londra ci sono tanti italiani. È che ce ne sono troppi". Per quanto mi dispiaccia ammetterlo, sono d'accordo con lei. Negli ultimi anni la crisi ha spinto migliaia e migliaia dei nostri giovani a cercare lavoro in Gran Bretagna, specialmente a Londra. Giovani italiani pieni di ambizione si sono sempre diretti a Londra, ma ora spesso l'ambizione è stata sostituita da disperazione. La stampa italiana è piena di storie di cervelli in fuga che hanno trovato successo all'estero. Ma i giornali non menzionano mai i tanti esempi di giovani che arrivano, spesso senza neanche parlare inglese, totalmente impreparati alla competizione spietata di Londra. Loro non vogliono veramente vivere qui. Eppure continueranno ad arrivare finché la crisi continuerà in Italia.

Il Regno Unito quindi attrae gli europei dai paesi più poveri dell'Est, ma anche quelli della vecchia 'ricca' Europa. Londra è una delle mete più ambite al mondo. Non c'è paragone con Berlino, Parigi o Roma. Cameron è riuscito a negoziare delle eccezioni per i lavoratori europei, ad esempio dei limiti ai benefici statali per i primi 4 anni di residenza. Ma non basta. L'Unione Europea deve evolversi e riflettere le realtà del mondo di oggi. Non può far finta che tutti i suoi membri siano uguali. Se non cambia, anche se la minaccia di Brexit non si avverasse, la crisi per l'UE non sarebbe scansata, ma semplicemente rinviata.

Gli ultimi mesi non sono stati particolarmente gradevoli per i 3 milioni di europei che vivono nel Regno Unito. Chi non ha un passaporto britannico (e la maggior parte degli immigrati UE non ce l'ha, visto che costa più di £1000 e prima non c'era veramente bisogno di averlo ) non potrà votare giovedì. Ma non è solo alle urne che gli immigrati europei non hanno potuto dire la loro. In tutti i dibattiti televisivi e radiofonici che ho sentito, non c'erano mai rappresentanti delle varie comunità europee, a meno che non fossero, come Vittorio Colao, amministratore delegato della Vodafone, rappresentanti di grandi aziende o banche. Ma milioni di lavoratori normali, molti dei quali sono qui da anni, e contribuiscono al tessuto economico e sociale del Regno Unito, non hanno avuto voce. Proprio chi potrebbe essere più colpito da una eventuale Brexit, giovedì non potrà fare altro che aspettare il risultato.

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*Giornalista professionista, ha lavorato per le redazioni della BBC, di Sky News e di Five News. Dal 2007 è conduttrice della redazione londinese di Al Jazeera English.

 

FONTE: http://www.huffingtonpost.it/


 

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