L’odore di bruciato. L’odore del terrore, di cenere, della morte. E’ un odore che chi vive in Sardegna conosce molto bene sin da quando ci è nato. Puntuale come un orologio, questo odore della disperazione arriva d’estate, come se ci fossimo abituati a tutto questo. Come se fosse diventato un appuntamento annuale.

Perché di qua l’estate non è solo mare, vacanze, turisti e spiagge affollate. In Sardegna estate è anche sinonimo di incendi. Prima che le temperature raggiungano i loro picchi stagionali, nei mesi precedenti scongiuriamo che l’estate non porti con sé eventi nefasti, e che qualora dovessero presentarsi si possa costantemente tenere tutto sotto controllo e si abbiano sufficienti mezzi di intervento. Ma non accade e, nonostante l’appuntamento annuale, puntualmente non sappiamo come comportarci.

Ecco giungere il 2021, l’anno successivo al COVID-19 e, mentre tentiamo di risollevarci con le gambe rotte da una pandemia mondiale che ha portato via persone, lavoro e speranze, assistiamo affranti e desolati a uno dei roghi più temibili degli ultimi cento anni, da che si ha memoria.

Un momento, tra l’altro, in cui la Sardegna vive una riscoperta per le sue bellezze paesaggistiche, per la dimensione slow, meta prediletta per il ‘buen retiro’ dei lavoratori durante i lockdown dello scorso anno. L’isola che tutti ci invidiano sì, per il mare, ma tanto amata per la sua natura selvaggia, per i suoi sentieri che ti guidano lungo boschi lussureggianti dove poter trascorrere e godere intimamente e singolarmente di querce, lecci, fiori selvatici, muschi, licheni, cinghiali, volpi, ghiandaie, tartarughe, gatti, grilli, cavallette, lucertole, acque di cascate e torrenti, mucche, pecore e cani, porte, case abbandonate, muretti a secco, nuraghi, menhir e dolmen, tombe e Giganti. Magia.

Questa non è la California. Siamo in Sardegna, nel Mediterraneo. L’area del Montiferru era un esempio di ambiente in equilibrio naturale ma era anche molto altro. Era, per l’appunto. Ci sono voluti ventisette anni dall’ultimo rogo del 1994 perché riprendesse a vivere e prima ancora undici anni dal fuoco del 1983 che qui ricordano tutti.  All’epoca vennero distrutti i boschi di Seneghe, Bonarcado, Cuglieri, Santu Lussurgiu e Scano Montiferro. La stessa area da cui sabato 24 luglio sono partite le fiamme che in poco più di ventiquattro ore hanno distrutto ventimila ettari di territorio divorando tra le braci ettari di bosco, pascoli e parchi naturali, un numero incalcolabile di aziende agricole, animali domestici e selvatici, costringendo migliaia di persone ad abbandonare le proprie case.

Al lavoro per sedare le fiamme gli uomini del Corpo Forestale, Vigili del Fuoco, Protezione Civile, Croce Rossa Italiana, Carabinieri e Polizia di Stato. Sui cieli sette Canadair più due in arrivo da Francia e Grecia su richiesta del Ministro degli Esteri Luigi di Maio, undici elicotteri della flotta regionale, uno dei Vigili del Fuoco e uno dell’Esercito.

Non è necessario andare a contare i numeri per chiarirci meglio la portata di questa Apocalisse.

I giorni seguenti la tragedia si rimane attoniti. C’è chi invoca la caccia al piromane proponendo pene medievali, c’è chi nel dolore trova spazio e lucidità per le domande. Chi attribuisce responsabilità allo scarso senso civico dei sardi e lo riconduce a una sorta di autolesionismo, come se noi sardi provassimo appagamento nel vedere in cenere il territorio, nell’osservare la distruzione per poi chiedere la ricostruzione, nel piangere e nel rimpiangere. 

Così ogni stagione siamo qui a chiederci perché e chi. Ed è sempre la stessa storia, senza soluzioni e senza che si possa intervenire, se non per limitare i danni.

Il punto è che non dovremmo chiederci come limitare i danni. Essendo un problema vecchio avremmo già dover avuto in mano delle soluzioni efficaci. Perché il problema incendi in Sardegna non è odierno. Per comprenderlo a fondo bisognerebbe tornare indietro nel tempo, analizzarne i principi dal punto di vista sociale, economico, politico, ambientale e criminale. Perché pur sempre di criminali si tratta. Ne parleremo dopo, quando riusciremo a sedare le emozioni forti di queste ore, quando vedremo la  morte nelle campagne con una mente più razionale.

Una certezza c’è, adesso, in questo fine luglio fumoso, e sono i numerosi volontari intervenuti sul luogo per sedare l’estensione dell’incendio che minaccioso prosegue verso le campagne di Borore, le persone intervenute per accogliere gli sfollati, per curare gli animali o trasportarli in altre stalle, per dare una pacca sulla spalla o una parola di conforto.

Solidarietà e azione dei sardi. Contro l’autolesionismo e il terrorismo di fuoco.  

 

 

 

Autore dell'articolo
Natascia Talloru
Author: Natascia Talloru
Freelance nel settore culturale. Dopo anni di formazione scientifica tra Cagliari e Milano, mi indirizzo nello studio delle terapie naturali, della medicina alternativa e antropologica, in particolare della Sardegna. E’ in Barbagia, nei luoghi del cuore, che le mie passioni per il giornalismo, la comunicazione e la musica si trasformano nel tempo in lavoro. Attualmente scrivo su testate giornalistiche online/offline e collaboro con diverse realtà locali nell’ambito della comunicazione web. Ho ideato Ilienses, un progetto musicale, culturale e audiovisivo sulla Barbagia, di cui sono anche General Manager. Vagabonda errante per natura, trovo la mia pace dei sensi nell’abitare e vivere i paesi della Sardegna, a contatto con la terra e le sue meraviglie.
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