In certe notti barbaricine, nel Supramonte Dorgalese, quando il cielo è sereno e tutto ciò che circonda la grotta di Ispinigoli tace, si possono udire i lamenti delle anime di giovani fanciulle, sacrificate agli dèi d’Oriente in tempi lontani. Una specie di grotta-tempio, quella di cui parliamo, dove a rappresentare la divinità era un’immensa stalagmite che, fondendosi con la stalattite sovrastante, forma una colonna di circa trentotto metri. Prima in Europa per altezza, e seconda nel mondo, questa opera eretta dalla natura governa il centro di una grande sala dalla sommità della volta fino al pavimento.

Lo stillicidio che le ha dato forma è cominciato in tempi lontanissimi. Per raggiungere l’altezza attuale le sarebbero bastate “poche” migliaia di anni, ma gli studiosi, considerate le dimensioni della circonferenza di base (oltre quattro metri), ritengono abbia cominciato a depositarsi quando la montagna che ospita la grotta era appena emersa dal mare. Un lavorio costante, goccia dopo goccia, in una spaccatura della roccia calcarea.

Non stupisce che un monumento di tali proporzioni fosse considerato la manifestazione in terra di un’entità divina. Si pensa, infatti, che al suo cospetto i Fenici usassero sacrificare le adolescenti ancora vergini. Esistono due teorie differenti al riguardo.

Secondo la prima, il rito veniva celebrato ai piedi della colonna, dove si trova ancora oggi una sorta di altare naturale. Le fanciulle venivano poi gettate in un inghiottitoio, chiamato per questo Abisso delle vergini, situato in prossimità della parete a nord-est, sul fondo della grotta. Un volo di quaranta metri lungo una stretta fenditura verticale che conduce alla sottostante grotta di San Giovanni Su AnzuQuasi certamente le vergini venivano gettate nel pozzo una volta uccise; cosa che non renderebbe la pratica meno cruenta ma, si spera, meno dolorosa per le povere vittime. A conferma di questa ipotesi sono stati rinvenuti numerosi reperti archeologici. Principalmente, si tratta di resti ossei di giovani donne, gioielli e monili che potrete trovare esposti nel museo archeologico di Dorgali.

Secondo l’altra teoria, invece, le fanciulle non venivano sacrificate sull’altare, né uccise a causa della caduta lungo il pozzo, ma venivano calate nel condotto tramite scale fatte di corda, per essere offerte agli dèi ancora vive, e una volta sul fondo venivano lasciate morire di fame. Per chi sostiene questa ipotesi: “Che i corpi fossero buttati giù all’apertura d’ingresso non è possibile, perché non sarebbero potuti arrivare in fondo alla voragine e finire nel pozzo, per il semplice fatto che il condotto di discesa non è perpendicolare ed è movimentato da una serie di sporgenze e rientranze”.

Infatti, dico io, tutti i resti ritrovati provengono dalle sporgenze della stretta fenditura. Ma non si può certo escludere che in gran parte siano rotolati sul fondo. Questo purtroppo è solo presumibile in quanto nel corso dei secoli tale fondo è stato probabilmente ripulito dalle correnti sotterranee.

Si pensa che anche i nuragici conoscessero l’antro e venerassero l’imponente colonna, in quanto simbolo fallico della fertilità maschile, ma senza dedicarsi a sacrifici umani. Per questi si trattava semplicemente di un misterioso monumento eretto dalle forze della natura per unire terra e cielo, rappresentati rispettivamente dal pavimento e dalla volta della grotta. Nella cavità sono presenti molte altre stalagmiti e stalattiti di notevoli dimensioni ma che confrontate alla colonna divina sembrano ridicole, formatesi in ere geologiche ricche di pioggia e nelle quali la circolazione dell’acqua nella grotta, oggi quasi del tutto cessata, era ancora abbondante.

Sfruttata nei secoli dall’uomo in cerca di riparo, fino alla metà del Novecento era ancora utilizzata dai pastori. Dotata nel 1974 di un impianto di luci, scale e altre attrezzature per essere aperta al pubblico, la grotta è oggi percorribile per circa otto chilometri, mentre il Complesso di San Giovanni Su Anzu non può essere visitato, a meno che non si abbiano i requisiti necessari e, chiaramente, autorizzazioni specifiche. E’ anche possibile sbirciare nella bocca dell’Abisso delle vergini, senza sporgersi troppo, però.

Un’ultima cosa: Ispinigoli significa “spina nella gola”. Non credo ci sia bisogno di spiegarvi le ragioni di questo nome.

 

Da “101 cose da fare in Sardegna almeno una volta nella vita” di Gianmichele Lisai