Di Filomena Campus*

Londra. 15 Febbraio 2020.

Soundcheck alle 18.

L'atmosfera del Vortex Jazz Club e' particolare. Non ci sono camerini per gli artisti. Dopo il soundcheck con la sound engineer Ali, con i musicisti prima del concerto usiamo l'ufficio di Oliver, il direttore artistico, e del suo staff.  Piccolo spazio, con finestre senza tende, per cui cambiarsi o truccarsi, o fare warm up prima del concerto diventa una strana acrobazia tra le custodie degli strumenti e le tantissime cose che contiene.

Chissa' perche' non si pensa mai a quanto sia importante per gli artisti avere uno spazio privato prima e dopo il concerto.

Anche al PizzaExpress, altro mio luogo amato del jazz, il ‘camerino’ e uno strano spazio di uno o due metri quadrati, senza riscaldamento.  Dobbiamo fare i turni per cambiarci. Al Crypt a Camberwell, la splendida cripta del jazz, ci si cambia in bagno. Solo al Ronnies hanno camerini veri, ma al Ronnies vogliono musica piu’ convenzionale di quella che ci piace fare, allora meglio senza camerini ma almeno suoniamo e improvvisiamo come ci pare.

E' come un trovarsi in famiglia, al Vortex, quella del jazz londinese. Le persone che ci lavorano sono tutti volontari, il bar offre poco, ma a prezzi certo non londinesi. E anche i biglietti sono molto piu' accessibili degli altri jazz clubs.

La qualita' della musica non riflette scelte commerciali, ‘bums on seats’, o il gusto generale del pubblico. Qui si ascolta musica vera, si puo' sperimantare, improvisare. Musica per orecchie allenate a ritmi, melodie, accordi non scontati.

Qui suonano Dave Holland, Orphy Robinson, Evan Parker,  altre e altri grandi, cosi come giovanissimi musicisti/e che, ogni secondo lunedi del mese, riempiono la sala per la jam session ‘Freedom: Tha art of improvisation’, organizzata da Orphy Robinson, Tori Handsley e Cleveland Watkiss.

Non ho mai voglia di mangiare prima di un concerto, invece ho sempre bisogno di tanta acqua. Idratare la gola e la voce. L'adrenalina fa il resto.

Abbiamo nuovi pezzi in cantiere per il nuovo album con il quartetto.

Ancora non ha un vero titolo.

Sicuramente dedicato alle donne, alle mie Janas. Un brano e’ proprio per loro, E mi drommia, con la poesia in sardo di Antonio Maria Pinna, il mio testo in inglese, la musica creata con Steve Lodder. Poi l’arrangiamento di Creuza De Ma’ del bassista Dudley Phillips, con la traduzione dal genovese all’italiano di Benni. Poesia pura.

Un mio arrangiamento vocale di Aguas de Março di Jobim, con il loop, che ho praparato per fare una sorpresa a un’amica brasiliana che stasera verra’ a sentirci.

Un nuovo pezzo swing con un testo ironico e un po’ seccato sulla Brexit, Unsettled status, su come ci sentiamo trattati in un paese in cui abbiamo investito anni di vita, energia, creativita’, fatica. E che ora ci fa sentire ‘OTHER’, gli altri.

Nell’uso coloniale e razzista della distinzione ‘noi e loro’, noi europei siamo diventati loro, gli altri, i non piu’ benvenuti in the UK. Attenzione a trattare male chi arriva. Potremmo essere e siamo noi i migranti. Ora non si puo’ piu’ venire qui a cercare lavoro. Bisogna avere gia’ un contratto con uno stipendio importante. Altrimenti ti rimandano a casa. Deportation. E’ gia’ successo.

Non si puo’ piu’ venire per studiare. Costa ormai cifre impossibili, e non ne vale piu’ la pena.

Che peccato. Pensare che fino a pochi anni fa questo era un paese che esaltavo per l’apertura, la tolleranza, la multiculturalita’, il rispetto per l’arte e la cultura. 

Tutto cancellato con un segno di matita di uno stupido referendum. E la pandemia ha dimonstrato quanto questo governo conservatore apprezzi l’arte e la cultura, che rappresentavano una fetta importante delle entrate di questo paese, consigliando a tutti noi di cambiare lavoro. Cosa che qui ha fatto un terzo dei musicisti per poter sopravvivere.

Il nuovo album, dicevo. Rimasto sospeso, in bilico nel 2020.

Pensavo, bene, finalmente ho tutto il tempo che voglio per fare pratica, scrivere testi.

Invece niente. Predo il microfono. Tristezza infinita. Mi mancano I musicisti, e non ho nessuna voglia di scrivere niente. Rimetto il micronfono nella sua custodia. Prende polvere.

Silenzio.

Non riesco neanche a concentrarmi sui testi per il progetto su Franca.

Franca Rame, che da qualche tempo e' compagna di vita. Lo scorso ottobre 2020, ho iniziato un dottorato di ricerca alla Royal Central School of Speech and Drama. Il suo ruolo di teatrante, autrice, regista, attivsta, archivista,editor e tante altre cose. Ruolo trascurato, ingiustamente 'silenziato' nella narrativa teatrale. Mi sono immersa nello studio, nella ricerca accademica, navigando nel teatro e nella storia italiana, nel femminismo degli anni 70, nelle teorie contemporanee. nei testi profondi di Silvia Federci, Adriana Cavarero, Diana Taylor, Stuart Hall. Vedo ancora meglio il coraggio di una donna che affrontava problemi che ancora oggi non sono risolti. Un talento unico, mai veramente riconosciuto.

Dietro una grande donna c’e’ sempre un grande uomo.

Sono diventata una feminist killjoy come Sara Ahmed.

Una volta che apri gli occhi non puoi piu’ non vedere i meccanismi sessisti e razzisti del sistema patriarcale, che regna ancora ovunque. Non puoi piu’ stare zitta, come gli altri vorrebbero. E diventi la femminista guastafeste. Why not.

Ad esempio non sopporto i festival solo per uomini, organizzati quasi sempre da uomini, recensiti da uomini. Magari si aggiunge il nome di una donna, tanto per gradire, se si accorgono che suona male avere solo maschi.

Con una petizione siamo riuscite a far cambiare i sinonimi della parola ‘donna’ nella Treccani.

Erano vergognosi.  #feministkilljoy. Appunto.

Che cosa ha a che fare Franca Rame con una jazzista regista feminist killjoy sarda-londinese?

Tre vite in una. A volte divento matta a farle convivere. A volte funzionano alla perfezione.

Jazz, teatro e accademia. Ancora non posso e non voglio scegliere.

Le unisce la voglia di creare, sperimentare, di creare cose nuove, di coinvolgere il pubblico in esperienze diverse, di applicare le tecniche di improvvisazione tra le tre discipline, sperimentando sul palco, o in sala prove con performers e musicisti, o all’universita’ con studenti e studentesse da tutto il mondo.

Un anno di incontri su zoom.

Boom.

All’inizio sembrava bello. Poi l’impazienza, il fastidio di dover tenere accesa quella maledetta telecamera e dovermi guardare ascoltare o interagire con lo schermo. Reazione allergica. Enough.

E no, il teatro online non si puo’ fare. Puo’ essere documentazione, un ripiego, ma non e’ teatro vero. Lo stesso per i concerti.

Ho provato a registrare da sola con il loop per la session online di Freedom, solo perche’ me lo ha chiesto un amico caro come Orphy Robinson.

Da quel 15 Febbraio 2020 nessun concerto.

E ora ammetto e’ quello che mi manca di piu’. Fare musica insieme alla band e con un pubblico vero. Mi manca come l’aria.

Londra in Aprile ha iniziato a risvegliarsi dopo quattro mesi di lockdown totale, in cui solo i supermercati erano aperti. Cielo grigio. Fisso. Lo e’ ancora adesso.

 In questi mesi locali e teatri dovrebbero riaprire.

Come tornare alla vita. I nostril corpi cambiati, poco abituati a muoversi e interagire con l’esterno e con altri esseri umani. Vaccinati. Usciamo dalla tana.

Voglia di tornare in Sardegna, di rivedere I miei cari. Il mio mare. E il mio sole sardo.

Ho saputo che una persona a cui voglio molto bene e con cui abbiamo lavorato insieme a diversi progetti musicali e teatrali non sta bene. Non potremo piu’ stare insieme sul palco o pensare a nuovi progetti. Mi addolora profondamente. La vita passa e penso che non dovremmo rimandare mai niente, soprattutto con le persone a cui teniamo. 

Ricordo quando Franca mi disse di tornare a trovarla a Milano per lavorare ai suoi monologhi mai pubblicati. 

Tempo scaduto.

Silenzio.

Si spengono le luci in sala, si accendono sul palco del Vortex.

Sono pronta, con il mio quartetto, la nostra musica.

Let’s start.

 

 

Links:

Recensione LondonJazz sul concerto del 15 Febbraio 2020

La pagina della Royal Central School of Speech and Drama

Pagina sul progetto di ricerca Liberate Rame

Águas de março –  Filomena Campus - Dal vivo in lockdown

 

*Filomena Campus 

Ph: Daniela Zedda

Vocalist jazz, regista teatrale, accademica, Filomena Campus vive a Londra dal 2001. Vincitrice del Premio Maria Carta (2009) e Premio Navicella (2015) e nota nella scena inglese del jazz e dell’improvvisazione, ha collaborato con musicisti come Paolo Fresu, Antonello Salis, Evan Parker, Orphy Robinson, Jean Toussaint, Shabaka Hutchings, Rowland Sutherland, Cleveland Watkiss e la London Improvisers Orchestra.

Nel 2003 Campus ha fondato a Londra la compagnia Theatralia, un collettivo internazionale di artisti, musicisti e performers che combina teatro fisico, letteratura, performance art, multimedia e musica live. Ha curato la regia di Monk Misterioso(www.monkmisterioso.com) spettacolo di jazz e teatro ispirato al testo di Stefano Benni sul pianista Americano Thelonious Monk, facendo il tutto esaurito a Londra.

Dal 2013 cura il Theatralia Festival www.theatraliajazzfestival.com che rappresenta un ponte artistico tra UK e Italia, in collaborazione con il jazz club PizzaExpress Live di Soho, in cui musicisti e artisti inglesi si esibiscono insieme a colleghi italiani.
Campus ha una laurea in Lingue e Letterature Straniere, un Master in Regia Teatrale ed e’ attualmente impegnata in un dottorato di ricerca su Franca Rame alla Royal Central School of Speech and Drama a Londra.
Insegna teatro come visiting lecturer in diverse universita’ inglesi ed e' Jazz Voice Professor professor alla London Performing Academy of Music (www.lpmam.com/faculty-jazzrythm/)

www.filomenacampus.me