Da Noci, piccolo centro della solare Puglia a pochi chilometri dai rinomati trulli di Alberobello sino alla fredda Germania per poi approdare nella mite Sardegna. La vita di Angela Degiorgio, classe 1942 è una storia d’emigrazione che si inserisce tra quelle di  milioni di famiglie italiane che nel secondo dopoguerra lasciarono la propria casa per cercare una “America” più promettente. È come un complesso intreccio che si conclude in Sardegna, nella casa dove Angela ci accoglie, tra fotografie e delicati lavori di ricamo.

 

Signora Angela, torniamo indietro nel tempo e andiamo in Puglia.

 Andiamo  a Noci, a quando io avevo 16 anni e mio padre, nel 57 aveva lasciato il post da boscaiolo per andare a lavorare in un’azienda agricola tedesca. Eravamo sette figli, immagini!

Il contratto per gli emigrati valeva solo per un anno, giusto? 

Si, infatti dopo un anno mio padre rientrò in Puglia e ci propose di seguirlo in Germania dove le condizioni di vita erano migliori. Aveva trovato lavoro in miniera a Bacu dove non lavorava sotto terra, per via dell’età ma sopra, alle fornaci; ai minatori veniva assegnata una delle baracche, vecchi stabili militari trasformati in appartamenti. Ma trovare altro genere di casa, per un italiano non era possibile!

Quindi  avete chiuso casa e l’avete raggiunto. 

Già, mia mamma sembrava la chioccia con i pulcini! La più grande di noi aveva 18 anni, io 16, un mio fratello 4 e il più piccolo tre anni e mezzo! Dopo due notti e un giorno di viaggio siamo arrivati in Germania .

Cosa avete portato in valigia?

 Beh, valigia … avevamo le valigie di cartone con dentro qualche cambio. Poi abbiamo fatto una spedizione a parte per la macchina da cucire e la macchina della maglieria che utilizzava mia sorella e … la focaccia pugliese! Per noi era la prima volta che si usciva.

Qual è stata la prima sensazione che ha avuto quando è arrivata in Germania? 

Una bella sensazione perché ad aspettarci c’era mio padre insieme al direttore della miniera che ci accompagnò nella nuova casa. Per noi che in Puglia vivevamo in un’unica stanza quello era un vero appartamento! Mio padre mi mandò subito a comprare le uova per la colazione e infatti le prime parole che pronunciai in tedesco furono“ Zein eye” , dieci uova!

Cosa avete fatto una volta lì?

 I maschi sono andati a scuola, mia sorella era maglierista e avrebbe voluto lavorare in casa ma non era conveniente per via di tutte le spese aggiuntive che ci sarebbero state. Io decisi di andare a lavorare in una fabbrica dove si preparava il pesce: ero assicurata e guadagnavo ben sessantamila lire al mese!

Veniva discriminata perché italiana?

 Quando ho iniziato a capire la lingua mi sono resa conto di quanto fossero discriminati  gli italiani. Dicevano che erano sporchi, che puzzavano, che non avevano lavatrice e mangiavano solo spaghetti! Io allora presi a rispondere ironicamente per le rime in tedesco. E venivo rispettata!

Per quanto tempo ha lavorato lì?

 Tre mesi ma l’odore di pesce era davvero insopportabile. Così chiesi al direttore della miniera se mi poteva aiutare a trovare un altro posto e finì a lavorare nella catena di montaggio di una fabbrica dove costruivano televisioni. Ci sono rimasta per tre anni e mezzo, sin quando non mi sono sposata.   

Come ha conosciuto suo marito?

 Lui era orfano di madre e in Sardegna faceva il servo pastore. Nel ‘61 è emigrato in Germania dove lavorava nel settore dell’edilizia. Per caso aveva conosciuto il fratello di una ragazza che lavorava alla Grets che gli parlò di me e combinò il nostro incontro. La  mia famiglia era molto all’antica e io non potevo uscire quando volevo. Così  gli dissi di venire a casa e in una sola sera i miei fecero al sua conoscenza e ci diedero il permesso di frequentarci! Tutte le sere lui mi aspettava alla fermata dell’autobus e mi accompagnava a casa. Dopo dieci mesi mi chiese di sposarci e al momento di cercar casa, ecco di nuovo la discriminazione! Anche se sul giornale compariva l’annuncio, mi si diceva sempre che la casa era già stata affittata! Quante telefonate e quante visite! Alla fine riuscimmo a trovare un appartamento che ci venne affittato a condizione che  saremmo andati via se se avessimo avuto dei bambini: il proprietario faceva il turno di notte nelle miniere e il giorno aveva bisogno di silenzio per dormire.

Gli affitti erano molto cari?

 Nel 62 pagavamo centocinquanta marchi che corrispondevano a 18 mila lire al mese. Quando sono rimasta incinta abbiamo dovuto lasciare la casa e mio marito, per aver un posto dove stare, accettò il lavoro in miniera, a mille metri sotto terra.  

Lei ha continuato a lavorare? 

Si, allora in Germania c’era davvero tanto lavoro!  Intanto, andavo ai colloqui scolastici dei miei fratelli e ogni volta mi veniva detta la stessa cosa: “Si, va bene, per quello che deve fare va benissimo così”. Un  italiano non poteva far altro che l’operaio. I posti di livello, le università erano per i tedeschi. Ecco perché, quando sono rimasta incinta del terzo figlio, mio marito ha insistito affinché rientrassimo in Italia: voleva che i nostri figli avessero la possibilità di studiare e formarsi.

La sua famiglia come prese questa decisione?

 Male, sapevano qual’era la situazione in Italia e sapevano che non mi sarei trovata bene come in Germania. Ma io decisi di seguire mio marito.

Affrontando di nuovo un lungo viaggio. E questa volta in nave!

 Di quello non te ne dico! Enormi capannoni con dentro letti a castello e tantissime persone ammassate sul ponte e nelle scale come sardine che dormivano dove capitava.

Cosa sapeva della Sardegna?

 A 14 anni sono andata a lavorare nei magazzini dove si tagliava l’uva. Una volta arrivò una ragazza dalla Sardegna: parlava quasi solo in sardo e aveva fatto un viaggio lunghissimo! Nave, treno e poi in macchina da Bari. Pensando al suo viaggio mi feci  l’idea della Sardegna come di un posto lontanissimo dove era difficile arrivare.

Che è successo quando è arrivata in Sardegna? La sua famiglia aveva ragione?

Purtroppo si. Avevamo preso una casa in affitto e mio marito avrebbe dovuto lavorare come autista ma all’arrivo non trovammo nessuna delle due cose. Grazie ai risparmi accumulati in Germania e a qualcosa che mi veniva mandato dai miei siamo riusciti a trovare casa in affitto e poi a comprarne una. Ma quanti disagi!

Praticamente avete avuto più problemi in Sardegna che in Germania!

 Si, e infatti mio marito dopo tre mesi voleva tornare in Germania! Ma io ho insistito perché rimanessimo qui, seppur con il cuore pieno di lacrime. Con il tempo le cose si sono sistemate, mio marito ha trovato lavoro stabile nell’edilizia e per 25 anni è stato dirigente sindacale della CGIL.

Se pensa alla Puglia, qual è il ricordo più bello che le viene in mente? 

Quello  di sentirmi a casa mia. Vedi, io qui sto bene, ho i miei figli, i miei nipoti però sai come si dice è” il paese del paesano”, io sono estranea..

Certo che la sua vita è quasi un romanzo. E scommetto che oltre al ricamo le piace anche la lettura!  

Si, mi piace il ricamo, il giardinaggio e la cucina … e poi leggo molto. Ma non storie inventate o a vanvera. Mi piacciono le vicende vissute, la vita vera.

 

Mariella Cortes

Autore dell'articolo
Mariella Cortes
Author: Mariella Cortes
Curiosa per natura, alla perenne ricerca di luoghi da scoprire, persone da raccontare e storie da ritrovare. Giornalista dal 2004 per carta, televisione, radio e web, lavoro a Milano come formatrice per aziende e professionisti e come consulente di marketing e comunicazione. FocuSardegna è il filo rosso che mi lega alle mie radici, alla mia terra che, anche nei suoi silenzi, ha sempre qualcosa da dire. Mi trovi anche su: www.mariellacortes.com
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