Pier Paolo Sannia da anni si occupa di studi e ricerche nei campi dell’antropologia culturale, della sicurezza e lotta al terrorismo. Tramite le sue competenze, in merito all’analisi delle informazioni d’intelligence e lo studio dei fenomeni terroristici, cerchiamo di capire cosa sta succedendo nel cuore dell’Europa.

 

Pier Paolo, raccontaci come sei arrivato ad occuparti del Medio Oriente e del mondo islamico, con le sue ricchezze culturali e le sue contraddizioni. Partiamo da lontano. Durante la mia infanzia ero affascinato dai mercanti nordafricani (marocchini) e dell'Africa nera (senegalesi) che si aggiravano per le strade del mio paese, i quali proponevano porta-a-porta le loro mercanzie: io cercavo innocentemente d'interloquire con loro, senza aver nessun tipo di timore; il mio interesse era quello di sentir raccontare qualcosa della loro vita, del loro mondo e magari comperare qualche oggetto a prezzo scontato con i pochi soldi di cui disponevo. Nel corso degli anni, la mia voglia di conoscenza è cresciuta e, durante gli studi universitari, dapprima ho ampiamente approfondito lo studio della Geografia e in particolare quella Umana, per specializzarmi successivamente in Antropologia Culturale: un approdo naturale  che, con crescente convinzione mi ha permesso di spiegare a me stesso il misterioso desiderio di comprensione della mia identità culturale: Sarda? Italiana? Europea? Si, anche, ma prima di tutto mediterranea. A partire dalla fine degli anni '90, la consapevolezza di vivere in una macroregione tanto affascinante quanto conflittuale, mi ha permesso di dare la svolta etica nel mio pensiero di studioso, ovvero approfondire scientificamente il tema dell'Alterità culturale, quale strumento di conoscenza per prevenire i conflitti e favorire il dialogo interculturale. Questa che per me è una seria missione, nell'ultimo decennio si è concretizzata nello specifico, nella ricerca antropologica applicata al campo dell'intelligence e delle organizzazioni terroristiche islamiche. Questo è il lungo itinerario che ho percorso con passione.     

Nell’ultimo anno abbiamo assistito sgomenti ad un’escalation di violenza di matrice islamica fondamentalista, in Europa: a Parigi nel gennaio 2015 alla redazione del periodico satirico Charlie Hebdo, in novembre sempre nella capitale francese allo stadio e in diversi luoghi pubblici che hanno portato alla morte di 130 persone ed infine un paio di settimane fa a Bruxelles, gli attacchi all’aeroporto e alla stazione della metropolitana. Cosa pensi stia accadendo? Perché questa recrudescenza improvvisa contro il mondo occidentale? L'Europa rappresenta il teatro ideale per scatenare, a più riprese, un'offensiva di tipo “militare”da parte delle organizzazioni terroristiche islamiche. Io considero questo genere di attentati di tipo “emblematico”, funzionali all'azzeramento del ruolo simbolico dei luoghi. Gli attentati in buona sostanza assumono un doppio significato: quello di voler neutralizzare ogni iniziativa politica occidentale nell'area culturale islamica e far comprendere chiaramente alle popolazioni della medesima, col metodo del terrore, di rinunciare all'avvicinarsi culturalmente con l'Occidente: questo perché in realtà metterebbe a rischio le leadership dei regimi vicinorientali.

C’è una logica politica dietro gli attentati di Bruxelles? Hanno una valenza simbolica, in quanto sede delle principali istituzioni europee? Si è una logica rigorosamente politica. L'Europa rappresenta una rete (network) di Stati nazionali che ha dinanzi a sè la migliore prospettiva di crescita sociale e il maggiore trend di progresso economico nel lungo periodo; ciò lo si evince osservando principalmente due fenomeni, tra essi collegati: l'enorme crescita dei flussi migratori verso il Vecchio Continente (il maggior polo geopolitico d'attrazione mondiale) e l'ossessione delle organizzazioni terroristiche nel perpetrare attentati ai simboli dell'Unione Europea e dei suoi processi d'integrazione politica. Bruxelles non è più la capitale di un piccolo Stato, con poco più di undici milioni di abitanti, bensì la capitale di una grande organizzazione sovranazionale a rete, con oltre cinquecento milioni di abitanti.  

In Belgio c’è una rete islamica ben radicata? Come mai? In Belgio è presente una comunità islamica fortemente radicata al cui interno -  sostanzialmente -, vuoi per la frustrazione e il disagio sociale (talvolta accentuato dal degrado delle periferie urbane), vuoi per la voglia di rivalsa storica quale elemento fondamentale d'indottrinamento, si è sviluppata una rete che definirei come il “collettore del dissenso”; qui è presente il migliore substrato sociale utile a far maturare le ragioni di una radicalizzazione religiosa e ideologica, e ci troviamo dinanzi alle pericolose doppie identità culturali: occidentale e islamica, alternativamente o simultaneamente. Queste sono non soltanto le ragioni ideologiche e religiose di coloro che decidono di sposare la guerra santa e quindi il metodo terroristico, ma soprattutto dei subdoli strumenti psicologici e comunicativi che i loro finanziatori  utilizzano per manipolare e rallentare i processi politici, strategici ed economici a livello internazionale.

L’intelligence belga ha evidentemente fallito. È troppo semplice parlare di fallimento dell'intelligence belga: l'intero sistema delle intelligence occidentali dovrà esser rifondato, perché ancora oggi si fa riferimento ai modelli organizzativi propri del periodo della Guerra Fredda; prima il competitor era noto e oltre ad avere un nome, aveva anche una precisa operatività strategica. Attualmente il problema è un altro: alle organizzazioni istituzionali preposte per la sicurezza e la difesa degli Stati, manca una visione teorica e metodologica. Il Belgio rappresenta la sintesi di queste difficoltà perché, da ex piccolo Stato, avendo ceduto la propria capitale ad una comunità di Stati (UE), ha tenuto una visione nella politica estera e di sicurezza, dimensionata per un piccolo territorio e un'esigua popolazione, ma il mondo è cambiato e gli attentati di Bruxelles rappresentano la triste e logica conseguenza.

Le politiche di integrazione in Europa a tuo avviso sono efficaci? In Europa, ma non solo, si parla tanto delle fallite politiche d'integrazione e dell'impossibilità d'affermazione dei modelli sociali multiculturali. Io dico che il vero fallimento, consiste proprio nel rinunciare a tutto ciò, perché nel lungo periodo si potrebbe assistere ad un enorme progresso culturale e conseguentemente economico senza precedenti; la vera globalizzazione é principalmente culturale e a mio avviso non va esclusivamente confusa con la complessa omologazione dei mercati. Detto ciò pongo io un quesito: chi è disposto a rinunciare alla comprensione dell'Altro, sapendo che la non-conoscenza potrebbe tal volta divenire l'arma letale utilizzata contro di noi dalle stesse organizzazioni terroristiche. Io pubblicamente, cito sempre due esempi storici: la battaglia di Poitiers (732), così come l'epoca delle crociate vivono costantemente nella memoria collettiva delle società islamiche, mentre da noi, in Occidente, sono relegate a poche righe scritte nei manuali di Storia medievale o addirittura ignorate. Il disinteresse culturale diventa l'habitat ideologico dei nostri carnefici.

Pensi che l’Italia sia un bersaglio sensibile, oppure nel nostro Paese non c’è una stratificazione così massiccia di islamici, da scatenare attacchi terroristici di tale portata?  Prima di tutto è doverosa una premessa: il destino dell'Italia e della sua sicurezza, dipenderà essenzialmente da due fattori: la capacità di definire un'adeguata politica estera, che sia indirizzata (senza ambiguità) verso una strategia votata a non fare sconti agli Stati e alle organizzazioni terroristiche da questi finanziate, ma che contestualmente nel medio periodo, preveda l'attivazione di ogni canale diplomatico convenzionale e non convenzionale,utile ad allentare la morsa delle medesime organizzazioni – ahimè – ben strutturate e in grado di minare alla base le strutture istituzionali degli Stati, preposte per la tutela della sicurezza dei propri cittadini. In altri termini occorre definire dei nuovi strumenti che possano contrastare principalmente sul piano culturale, gli embrioni di quelle che comunemente sono definite come “cellule” terroristiche. Se l'Italia riuscirà ad avere una visione di questo genere, certamente ridurrà notevolmente la probabilità che nel proprio territorio possa verificarsi un attentato simile a quelli di Parigi e Bruxelles. Sostanzialmente l'Italia, pur non essendo con certezza matematica immune da eventuali attentati terroristici, credo che possa esser maggiormente utile quale ambiente logistico delle organizzazioni terroristiche islamiche.