Quando ho avuto l’idea di realizzare questa intervista ero solo al principio di un’esperienza di cui solo oggi posso delinearne chiaramente i contenuti. Il mese di maggio appena trascorso passerà alla storia personale non come un maggio qualunque. C’è qualcuno di voi che crede nel destino? Io si. Perlomeno, oggi si. Non sono mai stata pienamente convinta su questo fatto. Per eccesso di razionalità permettevo si formasse quel punto di domanda di incertezza sopra la testa, che raccoglieva tutti gli interrogativi più importanti dell’esistenza, come il concetto stesso del destino. Avevo sposato la causa, come tanti, dei “finché non vedo non credo”. Scettica a vita, o forse solamente cieca.

 

Poi capitano fatti che seppur piccoli nel loro mostrarsi divengono improvvisamente rivelatori: all’inizio del mese scorso mi venne diagnosticato il Fuoco di Sant’Antonio. In quel momento ascoltai il consiglio di chi mi stava vicino che mi invitava a lasciar perdere il medico, il quale mi prescrisse istantaneamente un antivirale, e mi indirizzava da un signore di sua conoscenza che sapeva essere in grado di curare il mio problema.  Senza perdere tempo trovai il recapito telefonico del signore che mi disse di correre subito da lui. Unica regola: non aver iniziato nessuna terapia farmacologica.

In preda alla confusione salì in macchina e mi recai a Dualchi, un paese del Marghine, dove a un’ora da me,  il signore attendeva il mio arrivo:  un certo Antonio Leonardo Chirinu, conosciuto come Tiu Lenardu.

Nato il 22 gennaio 1927 a Dualchi, Tiu Lenardu rimase orfano di padre a poco più di un anno. La madre sposò un altro uomo col quale ebbe altri figli, circostanza che lo costrinse ad andar via di casa a soli nove anni, poiché, come in seguito mi disse, il padre adottivo non lo voleva bene come i suoi figli.

Venne accolto dai Masala, di Dualchi,  coi quali fece il servo pastore e che lo vollero come se fosse parte della famiglia. Vi rimase sei anni e in seguito lavorò per altri ventiquattro presso  un’impresa, usando il martello pneumatico che lo privò, quasi, di un orecchio. Poi, senza preavviso, ebbe un’illuminazione: curare chi aveva il Fuoco di Sant’Antonio, e lo fece praticamente tutta la vita.

Questo è solo il principio di una storia incredibile, quella di Tiu Lenardu, che a quasi novant’anni ha dell’eccezionale e di cui mi riserbo di conservarne con cura i dettagli. Per nove giorni consecutivi, come previsto dal suo tipo di terapia, mi accolse nella sua casa per la seduta giornaliera. Fui una delle prime ad essere trattata anche dalla nuora che,  sempre sotto l’attenta osservazione e consulenza di Tiu Lenardu, aveva appena ricevuto il “dono”. Ebbi la fortuna di risolvere il dolore interno che mi attanagliava già al secondo giorno di trattamento, senza che si formasse quell’herpes fastidioso sulla superficie della pelle, che normalmente si sviluppa con questa malattia. Guarì rapidamente ed ebbi tutto il tempo di conoscere questo insolito vecchietto, di ascoltare i suoi affascinanti racconti, di ridere davanti  a un bicchiere di vino trasportata dalla sua  contagiosa vivacità. Ebbi il tempo di affezionarmi come se fosse un nonno premuroso, e in effetti il collegamento a qualcosa di personale nel suo saluto quotidiano era immediato, perché semplici erano le sue parole: “Fiza mia, bae in bonora, chi Deus t’azzudede”.

Quando feci tutte le sedute mi sentii nuovamente sana, ricca dentro, fortunata per questo incontro. Son passate solo poche settimane e gli telefonai due volte dopo che ebbi finito, con l’intento di tornare presto a fargli visita. Stavo giusto organizzando una sorpresa, ma il gioco di fili che ha mosso questo incontro ha cambiato direzione, poiché  Tiu Lenardu è partito ad altra vita. Ecco, per l'appunto, sono stata l’ultima persona ad essere curata da lui. Non avrei mai potuto immaginare questo epilogo. E chi l’avrebbe mai detto che quel giorno, mentre con lo sguardo seguiva i miei passi allontanarsi sulla via di casa sua, sarebbe stato l’ultimo. Giusto il tempo di un altro tramonto insieme, giusto il tempo di strappargli un’ intervista,  esattamente quella che leggerete adesso.

(Per questioni di privacy non verrà riportata la versione audio. Fatti e persone citate sono reali.  Nel testo vengono trascritte solo le iniziali)

 

Allora Tiu Lenardu, facciamo questa intervista?

No, ne ho già fatto tre, mi hanno filmato, sono finito pure alla RAI. Basta con le interviste.

Ma io scrivo solamente, non la devo filmare.

Ah, va bene allora.

Mi dica, le piaceva il suo lavoro?

Per forza l’ho fatto, ho viaggiato tanto in moto, andavo nella zona di Cagliari, mamma mia! Con la moto in due, è lontano! Ricordo di essere stato a Isili, Barumini, Gesturi, Escovedu, Gonnosnò. Sei mai andata a Figus? Tutti piccoli quei paesi. Mi piaceva quel lavoro, ma dopo ho avuto la silicosi per via della polvere. Ho preso la patente a Nuoro, c’era un Maggiore di Artiglieria ricordo, un colonello, e un dottore. Io ero analfabeta, non sapevo nemmeno come parlare, e allora ho chiesto al Maggiore se mi permetteva gli avrei parlato in sardo, perché mi sarei potuto spiegare meglio. E lui mi disse: "parli, parli, già la capisco!" Ho iniziato a parlare e ho fatto l’esame, e infine è andato tutto bene.

Sua moglie quando l’ha conosciuta?

L’ho conosciuta qui, eravamo giovani. Mia moglie era dualchesa come me. Abbiamo fatto cinquantadue anni di matrimonio prima che morisse, ci siamo risposati a cinquant’anni.

Ma questa capacità di curare il Fuoco di Sant’Antonio.  Come l’ha avuta, gliel’ha insegnato qualcuno?

Mah, fiza mia, non so nemmeno come spiegarti come mi è venuto in cuccuru , ho iniziato a farlo e basta.

Cioè non gliel’ha insegnato nessuno?

No nessuno. E’ partito tutto dalla testa.

Conosceva qualcuno che lo faceva o aveva il Fuoco di Sant’Antonio prima che iniziasse?

No non c’era nessuno. Dopo un po’ di tempo si è presentata la prima occasione e l’ho fatto a una donna, alla moglie di Tiu A.F. , la ricordo ancora. E’ scomparsa già da cinquant’anni. Poi l’ho fatto alla moglie di S. F., centenaria pure lei. Poi il terzo…

Ma li ricorda tutti?

Non tutti, ma i primi si. Poi è vero che non tutti mi dicevano il loro nome. Ha sempre funzionato però, nel 99% dei casi è andato tutto bene. Qui sono venuti dottori, mogli di dottori, figli, preti. Quindi è iniziato così, come una luce, come una voce nella testa. Poi ho conosciuto quella dottoressa che mi ha fatto avere questo libro di antropologia medica (A Luna Calante - Vitalità e prospettive della medicina tradizionale in Sardegna di Nando Cossu, Argo 2005) che vedi qui, dove c’è pure il mio nome.  Sai com’è capitata? Lei viveva a Nuoro,  ma la mamma era di Austis, mi manda sua cugina che era la sposa di un dottore, son venuti insieme ricordo, e io le dissi -  “Fiza mia, come mai vieni da me, io non sono niente, non sono come il tuo ragazzo!”  –  E allora lui aveva risposto:  - “Signor Chirinu, la mia fidanzata si fida più di lei che non di me.” E in seguito la mamma aveva portato anche Tia A. di Austis.

Secondo lei, lo può fare chiunque?

No, non lo possono fare tutti, dipende dal sangue. Per esempio, mia nuora che è qui davanti, io ho provato, curerà una terza persona, se tutti e tre guariscono, allora lei lo può fare tranquilla. Una volta era venuta una ragazza intenzionata a farlo, arrivava da lontano non ricordo il paese, il primo che le era capitato era un uomo e aveva il Fuoco di Sant’Antonio diffuso ovunque, fino alle parti intime. Lei non accettò di curarlo. Io le dissi che non poteva rifiutare chi si presentava, ma lei scappò a gambe levate.

Come si accorge che una persona ha il sangue giusto?

Se resiste e non si tira indietro mi accorgo appunto in base alla guarigione: se due su tre guariscono vuol dire che quella persona può farlo, altrimenti no. Io tento di aiutare mia nuora che è alle prime armi, e per ora sembra stia funzionando.

Lei è l’unico  che cura questo problema a Dualchi? Ci sono altre persone che curano in altro modo?

No per il Fuoco di Sant’Antonio non c’è nessun altro, qui c’è solo qualcuno che fa la medicina dell’occhio.

A proposito della medicina dell’occhio, ha lo stesso principio?Arriva così, come un’ ispirazione?

Beh ci sono tante persone che lo fanno, a molti l’hanno insegnato. Non è molto scientifico certo, però funziona.

Curare il Fuoco di Sant’Antonio è un po’ diverso, come anche la medicina dei porri. Mia nuora quando era bambina aveva ascoltato delle persone che parlavano di questa medicina con attenzione. Poi tempo dopo si riempirono di porri le mani, lei si ricordò cosa aveva sentito e la provò su se stessa, dopo un po’ di tempo sparirono. Curare il Fuoco è ugualmente una cosa seria, se si curano quattro o cinque persone insieme negli stessi giorni la mano ti diventa così…grande!

Secondo lei anche oggi è possibile che a qualcuno arrivi l’ispirazione per praticare uno di questi metodi di cura?Sembrano cose che possono fare solo gli anziani…

Certo che è possibile, sembra impossibile ma è possibile, anche oggi! Quando vedevo quella del consiglio provinciale M.S., una brava donna,  ogni volta che entravo dentro mi diceva - ”Ma non mi paret beru, non mi paret beru!” -  

E dicevo: “ma itte lampu cherede narrede custa fèmina”.Dopo che ho fatto la medicina le ho detto:  - “Ascolti, ora mi levi una curiosità, ma cosa vuol dire questo non mi baret beru, non mi paret beru?” – E lei rispose: “Volevo dire che è assurdo stia guarendo senza medicine, sembra una cosa impossibile!”

Era piena eh, ma per essere piena, veniva con altre due, una maestra della scuola e una dottoressa, di Ottana.

Ascolta fiza mia, ora ti chiedo una cosa, quando vai via di qui se ti capita di andare dal dottore, è femmina o maschio?

E’ un uomo.

Se lui ti chiede se hai preso le medicine e ti è passato, tu digli la verità, io medicine non ne ho nemmeno toccato. Anche il nostro medico inizialmente non accettava, finché un giorno non ha portato una sua amica di Bortigali da me, e mi ha chiesto se le facevo il favore, se la curavo io. E io le ho chiesto se aveva già preso medicine, lei mi ha risposto di no, allora le ho detto: “stia tranquilla, la faccia venire”. E’ venuta questa signora, o signorina, ora non lo ricordo, comunque era una tipa bellighedda e allegra. Quando è entrata dentro le ho detto  - “Si spogli e mi faccia vedere il Fuoco” -  e lei mi ha risposto - “Ah gai este?” – “Non ti faccio nulla, non preoccuparti, stai tranquilla” - E le ho fatto la medicina. Il giorno dopo torna, e altre volte ancora e mi ha detto: “ci crede che mi sta passando il bruciore?”Ma era piena, non era come a te. Al nono giorno non aveva più niente. E le ho detto: “ora vai dalla tua amica, la dottoressa, e le dici com’è andata”. E da allora la dottoressa viene sempre da me.

Conosci la storia dell’uomo di Gavoi che riportava le ossa al loro posto?

No, non la conosco, mi dica.

Ora lo fa il nipote, lui è morto. Non gli credeva nessuno finché i dottori non l’avevano portato in tribunale con l’accusa di non poter fare quello che stava facendo. Lui si era presentato con un agnello, gli ha slogato le zampe e lo ha lasciato sul tavolo del tribunale. Quindi ha chiesto ai dottori di fare qualcosa, ma nessuno era riuscito a curarlo. Alla fine lo toccò nuovamente il signore di Gavoi e riportò le ossa dell’agnello a posto. L’agnello uscì dal tribunale camminando. (ride…ndr)

Ma lei ha mai conosciuto qualcuno di persona che curava il Fuoco di Sant’Antonio o qualcos’altro?

Ne conoscevo uno a Montresta, e uno a Oliena, ma son tutti morti. C’era una a Macomer, ma la sua medicina non funzionava bene, non riusciva con tutti. Eh si, non sono in  tanti a farlo oggi! Fin qui saranno venuti trenta paesi almeno, a cominciare da Noragugume, Borore, Dualchi, Sedilo, Norbello, Abbasanta, Ghilarza, Busachi, Lei, Bortigali, di Sassari, di Ploaghe, di Nuoro, Giave.

E’ un peccato però, è una cosa che deve rimanere.

In effetti, se me ne vado chi lo fa?Adesso sto provando a insegnare lei, mia nuora, mancari non m’es fiza, m’es fiza e tottu! Poi posso insegnare a un altro, omine o fèmina, e basta. Solo due persone.

Chi ha deciso che devono essere due, c’è una regola?

Me lo sento io, in sa conca, due e basta.

Cosa ne pensava sua moglie di questo dono?

Era molto contenta. Sembrerebbe una cosa che devono fare solo le donne, ma lo possono anche fare gli uomini.

Tiu Lenardu, c’è qualcosa che avrebbe voluto fare nella vita e non ha fatto?E’ soddisfatto?

No, di quel che ho fatto non mi pento, sono contento, perché son contente tutte le persone che son venute qui e che ho conosciuto, mi telefonano e mi fanno visita ancora.  Si, sono soddisfatto e ho svolto il mio compito per sessant’anni.

Ecco, una cosa forse, sarei potuto diventare più ricco (ride…ndr).

 

 

 

 

Autore dell'articolo
Natascia Talloru
Author: Natascia Talloru
Freelance nel settore culturale. Dopo anni di formazione scientifica tra Cagliari e Milano, mi indirizzo nello studio delle terapie naturali, della medicina alternativa e antropologica, in particolare della Sardegna. E’ in Barbagia, nei luoghi del cuore, che le mie passioni per il giornalismo, la comunicazione e la musica si trasformano nel tempo in lavoro. Attualmente scrivo su testate giornalistiche online/offline e collaboro con diverse realtà locali nell’ambito della comunicazione web. Ho ideato Ilienses, un progetto musicale, culturale e audiovisivo sulla Barbagia, di cui sono anche General Manager. Vagabonda errante per natura, trovo la mia pace dei sensi nell’abitare e vivere i paesi della Sardegna, a contatto con la terra e le sue meraviglie.
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