Ares Tavolazzi è un bassista e contrabbassista italiano di musica jazz. Ai più conosciuto come il bassista degli Area, storica band anni ‘70, e di Francesco Guccini, vanta collaborazioni importanti con diversi artisti che hanno tessuto le fondamenta della musica italiana, e che hanno contribuito a darle prestigio nel mondo. Oltre agli Area e Guccini, per l’appunto, tra i nomi della sua indescrivibile carriera compaiono Mina, Lucio Battisti, Finardi, Zucchero, Paolo Conte, Capossela, Bollani, fino ai nostrani Paolo Fresu e Antonello Salis.

La sua voglia di fare musica è instancabile, sempre incentrata sulla sperimentazione e sull’innovazione. 

Il modo di suonare è elegante, garbato, rispettabile nei confronti di quella musa chiamata Musica, in grado di arrivare anche a chi, di orecchie allenate, non ne ha proprio.

Lo abbiamo incontrato a Gavoi in un pomeriggio di fine ottobre, durante una clinic voluta e organizzata dal centro artistico Inter-Nos Interazioni Musicali. E’ venuta fuori una intima chiacchierata, fatta di ricordi e di ricostruzioni temporali, a partire dal periodo in cui ha conosciuto Demetrio Stratos, fino alla sua personale visione della musica contemporanea. Un intenso viaggio di note, pensieri e parole con un Maestro, tra i più grandi di cui l’Italia può vantarsi.

 

Ares, benvenuto a Gavoi e in Barbagia, è la sua prima volta in questa zona?

Si direi proprio di si, in questa zona non ero mai stato.

 

Oggi siamo qui per una clinic e non per un concerto live, ma indipendentemente da questo, quando si affaccia al pubblico, qual è l’elemento essenziale durante le sue performance che sente la possa mettere in comunicazione con le persone, o quale si aspetta o vorrebbe che fosse?

Mah, non mi pongo questa domanda. Io suono e basta, cerco di fare quello che sto facendo. Perché se comincio a preoccuparmi di compiacere qualcuno la musica se ne va.

 

Una carriera indescrivibile iniziata presto e ricca di percorsi musicali differenti e collaborazioni con artisti di fama mondiale. A partire dagli anni ’70, dalla sua scalata al successo nella storica band degli Area, cosa è cambiato nella musica e nel suo modo di vedere la musica?

La musica è cambiata tanto. Oggi sembra che si consumi tutto con molta velocità, e quindi le cose non rimangono. Poi nel mondo del pop non ci sono più le canzoni, almeno per come le concepisco io, ecco. Ci sono grandi tormentoni, dei piccoli riff che vanno e cercano di vendere. Per il resto, e lo sapete anche voi, la discografia è abbastanza in crisi. Con Internet c’è una fruizione diversa e una velocità diversa, quindi questo è il più grande cambiamento.

 

A proposito degli Area, un bel laboratorio esperienziale e, a quei tempi, anche un laboratorio innovativo che includeva diversi generi musicali: dal progressive al free-jazz, dalla fusion al rock sperimentale, la musica etnica e elettronica, tanto da influenzare, e non credo di esagerare, praticamente quasi tutta la musica italiana. Quali, tra questi filoni, secondo lei è rimasto oggi o andrebbe maggiormente oggi?Quale sente più suo?

Io non è che mi riconosco tanto in quello che sento oggi. Se penso agli Area, come dici tu…non so se abbiamo influenzato veramente le generazioni a venire, però non vedo nulla di ciò che è stato, manca la sperimentazione, è tutto finalizzato a vendere il prodotto.

 

Una piccola curiosità sul suo rapporto con Demetrio Stratos, come lo ha conosciuto e qual è il ricordo più vivo?

Ci siamo conosciuti in un ambito completamente diverso, cioè nell’ambito della musica pop, sia io che lui lavoravamo nelle orchestre da ballo. Poi non ci siamo più frequentati e ci siamo rincontrati negli anni ‘70 quando sono andato negli Area. E che dire! Demetrio, mi sembra retorico, ma era unico. Nel senso che come capacità proprio fisiche vocali era incredibile. Aveva una musicalità naturale e una grande predisposizione per le lingue. E poi era per la sperimentazione, perché lui è stato il primo a prendere alcuni input dalla musica contemporanea, dalla musica orientale, e a portarli nella musica nostra insomma.

 

 Due generazioni di bassisti a confronto. Da sinistra, Ares Tavolazzi e il gavoese Mauro Medde.

 

Tra i tanti progetti e collaborazioni ha suonato anche con i nostri Paolo Fresu e Antonello Salis. Può raccontarci qualche aneddoto e in quali occasioni li avete incontrati?

Salis lo conosco dagli anni ’70, ogni tanto suonavamo insieme. Una cosa che posso dire di Antonello è che noi stavamo in studio a registrare con gli Area, e lui era venuto a trovarci a Milano. Durante la pausa sentivo un rumore, come un tamburo sordo, sono andato nell’altra stanza e c’era lui che aveva disegnato una tastiera sul tavolo, e si stava esercitando. Antonello ha una forza tra le dita! Non so se avete mai avuto modo di vederlo, ha delle mani enormi con delle dita che sembrano delle pale. E quindi si sentiva, sembrava qualcuno che suonasse la batteria. E invece era lui che si esercitava e ci disse: “Oh, mi sto esercitando..!”

Eh va beh…

Paolo l’ho conosciuto negli anni ’80. Non abbiamo suonato tanto insieme, alcune volte sono andato a sostituire il suo bassista. E poi sono andato al suo Festival, come si chiama, al Time in Jazz, quando suonavo in trio con Bollani.

Cosa posso dire, un musicista meraviglioso, lo sappiamo tutti. E’ uno che si  sa organizzare anche molto bene nella vita, una cosa abbastanza rara insomma mantenere queste due cose. Di solito o scivoli di qua, o scivoli di là, per cui è ammirevole.

 

A proposito di jazz secondo lei è un genere che richiama ancora solo un élite di intellettuali e intenditori, oppure può interessare anche un pubblico diverso e più giovane?

A me sembra che questa differenziazione non esista più, perché il jazz ormai è mischiato con tutto il resto. Un certo tipo di jazz non si frequenta più, è difficile. Per cui diciamo che quello che è rimasto è il concetto di improvvisazione, nelle canzoni ci sono i soli di tromba, cioè il jazz è entrato dappertutto. Per cui è un po’ tutto mischiato, non si può dire che sia morto, non è un genere di musica che può morire. Si sta evolvendo molto e in altre forme, specialmente fuori dall’Italia e nel Nord Europa. In America ci sono nuovi musicisti bravi che affrontano il jazz con modi diversi. Sta scomparendo il modo di armonizzare che c’è stato dagli anni ’50 fino agli ’90. L’armonia si è molto evoluta e si è entrati dentro, no?E devo dire che ha perso un po’ di fluidità e di linearità melodica, per cui si sta cercando nei tempi dispari, nelle melodie non scontate, un po’ dure. Sta andando in questa direzione secondo me, è un’evoluzione, è un cambiamento, e così deve essere.

 

Violoncello, basso elettrico e contrabbasso?Potendo sceglierne solo uno, quale dei tre?

(Ride, ndr). Mah io sono..non lo so. Però va beh, il contrabbasso è il mio strumento. Devo dire che il violoncello mi sarebbe piaciuto approfondirlo,  ce l’ho anche a casa, però una cosa alla volta!

 

Ultima domanda. Ha avuto modo di conoscere la Sardegna e, se sì, qual è l’aspetto che mentalmente la ricollega a questi luoghi?

Non saprei, perché è tanti anni che vado e vengo da questa isola. Sicuramente è un popolo diverso, anche dagli altri isolani che sono i siciliani. Un popolo più riservato, oserei direi più serio ma forse non è la parola giusta.

 

 Ares Tavolazzi durante la clinic al Bar S'Istentu di Gavoi.

 

 

 

Foto credits Gianfranco Delussu

Autore dell'articolo
Natascia Talloru
Author: Natascia Talloru
Freelance nel settore culturale. Dopo anni di formazione scientifica tra Cagliari e Milano, mi indirizzo nello studio delle terapie naturali, della medicina alternativa e antropologica, in particolare della Sardegna. E’ in Barbagia, nei luoghi del cuore, che le mie passioni per il giornalismo, la comunicazione e la musica si trasformano nel tempo in lavoro. Attualmente scrivo su testate giornalistiche online/offline e collaboro con diverse realtà locali nell’ambito della comunicazione web. Ho ideato Ilienses, un progetto musicale, culturale e audiovisivo sulla Barbagia, di cui sono anche General Manager. Vagabonda errante per natura, trovo la mia pace dei sensi nell’abitare e vivere i paesi della Sardegna, a contatto con la terra e le sue meraviglie.
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