Paolo Fresu, trombettista e flicornista di Berchidda, è un talento internazionale della musica jazz. È docente e responsabile di diverse importanti realtà didattiche nazionali e internazionali e vive tra Bologna, Parigi e la Sardegna. Ha suonato in ogni continente, con gli artisti più importanti della musica afroamericana degli ultimi 30 anni e a registrato oltre trecentocinquanta dischi. La sua etichetta discografica, Tŭk Music, dirige il Festival 'Time in jazz' di Berchidda ed é direttore artistico e docente dei Seminari jazz di Nuoro. Al momento l'artista é impegnato con una serie di progetti, per i quali svolge oltre duecento concerti all'anno, in ogni parte del globo.

Paolo Fresu e il suo quintetto erano al "Grand Théâtre de Provence" à Aix-en-Provence in Francia, il 22 Aprile scorso, dove hanno presentato in concerto il loro ultimo disco '30', uscito nel 2014. Durante uno spettacolo intenso, Fresu si é improvvisato comico, presentando la sua musica malinconica con una ventata di ironia. Parlando un francese "maccheronico" é riuscito a divertire il suo pubblico francese che ha riso a squarcia gola dopo ogni battuta. " Tino Tracanna, Roberto Cipelli, Attilio Zanchi, Ettore Fioravanti ed io stiamo insieme da 32 anni. Vi starete chiedendo "ma cosa ci fa un sardo con loro?" Perché stanno ancora insieme?" Ce lo stiamo chiedendo anche noi!". Ha scherzato Paolo Fresu.

Alla fine del concerto, l'artista sardo ha risposto a qualche domanda.

1) Quali sono stati i momenti decisivi per la tua carriera?

Non so quali siano stati i momenti decisivi per la mia carriera, perche ho iniziato a suonare poi ho cominciato a fare il professionista, senza saperlo. Non c'è stato un momento specifico in cui io ho deciso di fare il musicista, é stata una scelta molto spontanea. Invece, mi ricordo perfettamente il momento in cui ho preso conoscenza di essere diventato musicista ed é stato quando, relazionandomi con gli altri, loro mi vedevano come uno che viveva di musica, allora ho capito che stavo vivendo di musica anche io e che quella era la mia vita. Ricordo ad esempio, quando ritornando a Berchidda, a un certo punto i berchiddesi mi dicevano " Come va ? E quando riparti?" Allora ho capito che 'ero partito' ed essere partito significava in qualche modo aver intrapreso una professione.

2) Chi é stato il primo a riconoscere il tuo lavoro ?

Intanto sono stati i miei, pur essendo persone di campagna, mio padre faceva il pastore, loro mi hanno sempre aiutato molto, a differenza di ciò che accade usualmente nei paesi, dove il musicista é visto un po’ come un perditempo. Poi il primo musicista che mi ha riconosciuto é stato Bruno Tommaso, un contrabassista italiano molto importante, arrangiatore direttore d'orchestra. Diciamo che lui é stato il primo a riconoscere le mie potenzialità e il mio talento e grazie a lui ho avuto il mio primo ingaggio professionale. Andai a Siena nell' 80/82, dove Bruno mi sentii suonare e subito dopo mi chiamò a Roma per fare una settimana di concerti importantissimi con un'orchestra di giovani musicisti. In seguito son diventato insegnante insieme a lui, tenevamo gli stessi corsi.

3) È vero che sei stato rifiutato del conservatorio di Sassari ?

Si, assolutamente. Per entrare al conservatorio, all'epoca bisognava superare un esame attitudinale. Ricordo che ero molto piccolo, feci il test e fui dichiarato non idoneo, non musicale. Io e la mia famiglia, ci rimanemmo male, ma insistemmo comunque, finché non riuscii ad entrare. Frequentai il conservatorio di Sassari per qualche anno, poi scappai via. Mi trasferii al conservatorio di Cagliari, dove mi diplomai.

Il mio insegnante al conservatorio di Sassari, aveva scoperto che facevo Jazz e questo era gravissimo per gli studi accademici di allora. Diciamo che ebbi un'esperienza sbagliata, con la persona sbagliata. Tengo a precisare che non ce l'ho con i conservatori, oggi la realtà é cambiata molto, perché il jazz é entrato finalmente nelle scuole musicali. L'atteggiamento nei confronti di questa musica oggi è completamente diverso rispetto al passato.

4) Quale è stata la tua guida ?

La mia guida, al conservatorio di Cagliari, é stata una persona straordinaria, Enzo Morandini. Enzo era un signore di una certa età, molto intelligente e molto aperto. È stato sicuramente la mia guida per quanto riguarda la musica classica, mi ha insegnato la tecnica. Nel jazz non c'é stata una sola guida ma tante. I miei mentori dal punto di vista musicale sono stati Miles Davis e Chet Baker, sono quelli che ho ascoltato maggiormente e che mi hanno trasmesso maggiore passione per quel che faccio. Mi hanno insegnato tanto, dal punto di vista della scelta del suono, della tecnica e su come si dirige un gruppo sul palcoscenico.

5) In che momento hai capito di essere diventato famoso ?

Non c'é un momento in cui pensi di essere famoso o meno, ma arriva il giorno in cui gli altri riconoscono il tuo lavoro, magari ti fermano anche per strada. Se per fama si intende questo, ho iniziato ad avere dei riconoscimenti forse già da metà degli anni 90. È una cosa abbastanza rara per un musicista di jazz, perché anche quelli che si considerano molto conosciuti, non son acclamati dal grande pubblico. In effetti il mio caso é un po’ particolare, effettivamente sono un musicista noto nel panorama italiano, magari anche a quelli che non conoscono troppo il jazz e questa é una cosa un po' speciale. Credo che la mia notorietà sia maturata prima in Sardegna, i sardi mi hanno sempre dato molto. Mi hanno aiutato tanto, erano sempre fieri di quello che facevo e lo sono tutt'ora. Parlo di fama inteso come segno di stima e devo molto alla Sardegna da questo punto di vista.

6) Che cosa rappresenta per te la Sardegna  ?

Diversamente da molti non la vedo come una barriera, ma anzi una ricchezza enorme. Per me essere sardo significa anzitutto condividere la passione per quest’isola. Quando ho iniziato a suonare il jazz, significava avere una diversità positiva che mi portavo appresso e che, secondo me, in quegli anni é stata molto importante per potermi relazionare meglio con gli altri.

7) Torni spesso in Sardegna ?

Si, ho la casa, una parte della famiglia e tanti amici. A Berchidda, inoltre, seguo anche tutte le attività del festival jazz estivo. Diciamo che sono in contatto con la Sardegna più o meno quotidianamente, o per telefono oppure perché ci vado di persona. La Sardegna é ogni giorno nei miei pensieri, non mi sento come uno che é partito, né tanto meno come uno che l'ha abbandonata.

8)Come è possibile trasmettere delle emozioni attraverso la musica ?

É possibile trasmettere delle emozioni solamente se le si percepiscono, se le si sentono, quindi quando io suono cerco di emozionarmi, se non sento che c'è l'emozione direi che é un concerto 'raté', ( fallito) come direbbero i francesi. Un artista racconta le storie, si esprime attraverso la musica. Per cui per trasmettere un'emozione é fondamentale suonare emozionalmente, perché se non c'é sentimento il pubblico non raccoglie nulla di quello che stai facendo. A volte capita che il messaggio del musicista non arrivi al pubblico, in quei casi io vado a dormire un po' cosi e dico: “ vabbé pazienza, stasera non é andata”. 

9) Come descriveresti la tua musica ? Se dovessi darle un aggettivo, quale sarebbe?

La descriverei come una musica aperta, curiosa, con un tocco di malinconia, che c'é ovviamente, ma anche con molta felicità, insomma, perché malinconia e passione possono andare totalmente d’accordo.

10) Dopo aver assistito al tuo concerto di oggi, la domanda sorge spontanea: Come mai una presentazione 'comica', nonostante suoniate una musica malinconica ?

Perché credo che la difficoltà della vita sia mettere insieme le diversità, le distanze.

Ognuno di noi ha una personalità ricca di varie sfaccettature, ci son dei momenti in cui ridiamo, dei momenti in cui piangiamo, in cui ci incazziamo, per cui il concerto é una rappresentazione di quello che siamo.

Con questo gruppo alcune volte mi diverto, perché c'é una grande amicizia, suoniamo insieme da 33 anni ormai, quindi ci prendiamo per il culo, ridiamo e scherziamo, però dietro questa leggerezza apparente delle parole poi c'é altro in realtà. Ad esempio, il pezzo su mio figlio, 'Gialle Foglie', una canzone apparentemente allegra, nasconde una sorta di malinconia. Dietro una presentazione divertente puoi raccontare anche una storia che può far riflettere.

Non é facile fare delle presentazioni in cui si é anche un po' buffi, quando dietro c'è una serietà e una profondità che si percepisce.

La difficoltà sta nel non cadere nel baratro dell'una o dell'altra. Mantenere sempre una via mediana in cui la musica si arricchisce quando ci sono molte sfumature diverse. Se fai solamente quello che fa il cazzone di turno sul palco diventa solamente una cosa che non da più senso alla musica. Ma se la fai bene, attraverso un gioco che é sottile, allora quella cosa apre una porta allo spettatore che altrimenti rimarrebbe chiusa. La musica é più importante delle parole, però alcune volte le parole possono essere un suggerimento affinché ciò che suoni risulti più vicino alle persone. 

Tatiana Picciau